Maffa
16-01-14, 11: 32
Tutti sappiamo dell'inchiesta Parolisi. Ho visto che c'è un thread sulla sezione off-topic, ma vorrei deviare dalla cronaca e dai fatti relativi all'omicidio per andare su una questione più tecnica ed inerente alle procedure militari. Nel caso, prego i moderatori di psostare nell'area più adatta.
Esiste un filone di indagine gemmato dall'inchiesta Parolisi alla caserma di Ascoli Piceno, che coinvolge un credo sergente o caporale (usa il grado in maniera intercambiabile) istruttore G.M. per un numero di reati.
A quanto pare, il G.M. avrebbe (secondo il Corriere della Sera (http://www.corriere.it/cronache/14_gennaio_04/devi-offrirti-me-altri-quelle-notti-caporali-allieve-82a60b74-750c-11e3-b02c-f0cd2d6437ec.shtml)) fatto pesanti avances alle allieve facendo leva sul proprio ruolo di superiore e istruttore. Ma contemporaneamente -ed è qui che vorrei arrivare- le allieve lamentano anche pesanti offese:
Poi c’è il capitolo «violenza contro inferiore, minacce e ingiurie», dove a farla da padrone è sempre il caporale G. M., rispetto al quale, in questo caso, sfigurerebbe anche il duro sergente Hartman di «Full Metal Jacket», quello che chiamava l’allievo «Palla di lardo». Ecco il suo vellutato sistema di addestramento: «Vi faccio sputare sangue, mi sembrate delle pecore, lo sapete cosa fa il pastore con le pecore... mi fate schifo... Tu sei una casalinga non idonea alla vita militare, hai i prosciutti al posto delle gambe, chiatta, balena... Siete delle galline, delle pappe molli, siete tutte z...», e avanti così, edulcorando e rimanendo alle espressioni più gentili. Il suo avvocato, Giovanni Falci, ricorda che contro il suo cliente il 25 febbraio sarà celebrato un processo con rito abbreviato ad Ascoli per fatti analoghi, dove però l’accusa è da tribunale ordinario: abuso d’ufficio. Falci dice che non bisogna sorprendersi: «Per una caserma si tratta di un linguaggio istituzionale. Stiamo parlando di addestramento al combattimento, di lancio di bombe, di piegamenti sulle braccia. È sempre stato così, andiamo, solo che adesso ci sono le donne. Il caporale non voleva danneggiare nessuno, solo stimolare e pungolare».
Ora, caliamo pudicamente un velo sulla qualità letteraria e giornalistica dell'articolo, e restiamo ancorati ai fatti delle ingiurie.
Sono sicuro che il 100% di chi legge queste righe sappia chi è il sgt. Hartmann, e se tanto mi dà tanto dalle 5 alle 10 persone tra queste conoscono a memoria ogni insulto che il suddetto distrubisce "senza distinzioni" (parole sue) nel corso della sua apparizione nel film che l'ha reso celebre. Nelle intenzioni del regista, il film e il sergente, come molti registi che realizzano film sul mondo militare e sulla guerra, puntano a ridicolizzare e a rendere assurdi il mondo militare e ciò che vi ruota attorno. Il sergente Hartmann, quindi, è un sadico fuori di testa assetato di sangue che vive su un pianeta alieno che si chiama Corpo dei Marines, dove assassini e serial killer vengono elogiati per le qualità marziali dimostrate, e non biasimati per i criminali che sono. Per cui alla fine il buono e semplice soldato Lawrence viene distrutto e rimodellato in un serial killer a sua volta dall'assurdità di un addestramento sadico che gli toglie tutta l'umanità e trasferisce l'amore nel prossimo in quello per il suo fucile, con cui bacia prima il sergente e poi se stesso.
Per quanto caricaturale, il sergente Hartmann (ma anche l'istruttore di "Ufficiale e gentiluomo") e il suo metodo è ciò a cui ci si riferisce quando si parla di assurdità della vita e dell'addestramento militare, la perdita della dignità, dei valori civili e del rispetto della persona.
Non ho mai fatto il militare, per cui chiedo a voi: ma è davvero così assurdo?
Io mi sono fatto questa idea, ditemi voi se e quanto è sbagliata.
Spesso nella retorica delle bandiere che garriscono e delle caramelle ai bimbetti ci si dimentica convenientemente che il lavoro del soldato è uccidere. Può fare molte cose di complemento o nel frattempo, può pattugliare le strade, può rimuovere la monnezza, può dare le caramelle ai bambini, può costruire scuole strade e ponti, può fare l'autista al colonnello, può fare il magazziniere, o il cuoco, o l'impiegato al distretto, e in anni tormentati da gravi lacune di doti civiche può trovarsi a fare molte mansioni in Patria che non gli competono, e molto probabilmente non ucciderà mai nella sua carriera.
Ma lo stipendio lo prende perchè deve saper uccidere, per nome e per conto dello Stato, al posto posto dei civili che non lo sanno e non lo vogliono fare, e che pagano lui/lei per farlo. Se si leva la componente violenta dalle FFAA restano i boyscout, o doppioni di cento o mille comparti civili che costruiscono ponti, scuole e strade, danno caramelle ai bambini, fanno i cuochi i magazzineri gli autisti o gli impiegati in un ufficio. Le Forze Armate di un Paese sono il suo braccio violento, l'extrema ratio, la deterrenza, il "quando fallisce la diplomazia", chiamatela come volete: sono una minaccia o promessa di morte, il "sennò" che aleggia implicito negli atti di politica estera. Per offesa o per difesa, per proteggere diritti o persone, quello dipende dallo Stato in questione, ma le FFAA fanno quello, servono a quello. E visto che di solito ci si trova ad interfacciarsi con dei colleghi di lavoro ma di opposta fazione, il rischio professionale concreto ed implicito è quello di morire.
Ad ogni modo, non è un lavoro semplice, tantomeno negli anni in cui viviamo, di benessere e di diritti crescenti (e doveri decrescenti), di sicurezze date per scontate e per cui si teme ogni minaccia. Le nostre vite, fortunatamente, sono quasi completamente edulcorate da ogni tipo di violenza reale, e non faticherei a credere che più della metà delle aspiranti reclute delle nostre FFAA non abbiano mai partecipato volenti o nolenti ad una rissa, o ricevuto un pugno sul naso. Se mettiamo le donne nel numero, forse possiamo arrivare al 90%. E questo so essere un problema per gli istruttori dei marines americani, figuriamoci per i nostri. Probabilmente alcuni si lascerebbero morire di fame piuttosto di torcere il collo ad una gallina. Non esiste alcuna preparazione alla gestione dello stress e alla violenza, fatta e subita. Per cui credo, e davvero se mi sbaglio correggetemi, che buona parte della preparazione di un soldato sia trasformarlo psicologicamente, da civile a militare, da persona disabituata alla violenza a persona che sotto pressione e durante momenti di grande pericolo di vita mantiene il sangue freddo, anche perchè non conviene dare delle armi a delle persone che sotto pressione perdono il controllo e fare selezione tra chi può e chi non può, a maggior ragione visto che il nostro è un esercito professionale e non di leva.
Torniamo ora agli insulti. Palla di lardo, vacca, zo***la, cornuto, figlio di *******, tua sorella fa i po****i per cinque euro. Fa brutto anche solo leggerli, vero? In un contesto civile, sono epiteti inscusabili, insopportabili, completamente al di fuori di ogni logica di convivenza sociale, un assalto all'onore personale. Se non in grado di potersi difendere da chi ci offende, per paura o per subalternità, ci si trova in una situazione di bullismo o mobbing.
Ma è davvero questo il caso, durante l'addestramento militare? A me non sembra. E non mi sembra neanche, come dice l'avvocato difensore del sergente/caporale G.M. un "pungolo" a fare meglio. Non potendo simulare una situazione di scontro a fuoco, di rischio della vita, di violenza fisica reale, a me sembra un ottimo surrogato, economico e tutto sommato efficace, per creare stress, che si spera l'aspirante soldato impari a gestire.
Una pallottola è fatta di piombo, un insulto è fatto di aria, e forse se uno non capisce la differenza, se pensa che sia meglio farsi sparare che farsi insultare, che si possa denunciare un istruttore perchè ti ha chiamato balena o figlio di *******, se insomma non si è in grado di poter tollerare lo stress causato da delle vibrazioni di aria, forse nella vita si potranno fare tante altre cose, la ballerina il papa il cardiochirurgo l'avvocato il cocchiere o la presidente di Confindustria, ma non il soldato, perchè il compito del soldato è amministrare la violenza e la morte con sangue freddo in situazioni di grande stress mentale e fisico, e non saper distinguere il piombo dall'aria calda è ragione sufficiente per suggerire un cambio di mestiere, secondo me.
Sbaglio?
((è un muro di testo, sono logorroico, scusatemi tanto))
Esiste un filone di indagine gemmato dall'inchiesta Parolisi alla caserma di Ascoli Piceno, che coinvolge un credo sergente o caporale (usa il grado in maniera intercambiabile) istruttore G.M. per un numero di reati.
A quanto pare, il G.M. avrebbe (secondo il Corriere della Sera (http://www.corriere.it/cronache/14_gennaio_04/devi-offrirti-me-altri-quelle-notti-caporali-allieve-82a60b74-750c-11e3-b02c-f0cd2d6437ec.shtml)) fatto pesanti avances alle allieve facendo leva sul proprio ruolo di superiore e istruttore. Ma contemporaneamente -ed è qui che vorrei arrivare- le allieve lamentano anche pesanti offese:
Poi c’è il capitolo «violenza contro inferiore, minacce e ingiurie», dove a farla da padrone è sempre il caporale G. M., rispetto al quale, in questo caso, sfigurerebbe anche il duro sergente Hartman di «Full Metal Jacket», quello che chiamava l’allievo «Palla di lardo». Ecco il suo vellutato sistema di addestramento: «Vi faccio sputare sangue, mi sembrate delle pecore, lo sapete cosa fa il pastore con le pecore... mi fate schifo... Tu sei una casalinga non idonea alla vita militare, hai i prosciutti al posto delle gambe, chiatta, balena... Siete delle galline, delle pappe molli, siete tutte z...», e avanti così, edulcorando e rimanendo alle espressioni più gentili. Il suo avvocato, Giovanni Falci, ricorda che contro il suo cliente il 25 febbraio sarà celebrato un processo con rito abbreviato ad Ascoli per fatti analoghi, dove però l’accusa è da tribunale ordinario: abuso d’ufficio. Falci dice che non bisogna sorprendersi: «Per una caserma si tratta di un linguaggio istituzionale. Stiamo parlando di addestramento al combattimento, di lancio di bombe, di piegamenti sulle braccia. È sempre stato così, andiamo, solo che adesso ci sono le donne. Il caporale non voleva danneggiare nessuno, solo stimolare e pungolare».
Ora, caliamo pudicamente un velo sulla qualità letteraria e giornalistica dell'articolo, e restiamo ancorati ai fatti delle ingiurie.
Sono sicuro che il 100% di chi legge queste righe sappia chi è il sgt. Hartmann, e se tanto mi dà tanto dalle 5 alle 10 persone tra queste conoscono a memoria ogni insulto che il suddetto distrubisce "senza distinzioni" (parole sue) nel corso della sua apparizione nel film che l'ha reso celebre. Nelle intenzioni del regista, il film e il sergente, come molti registi che realizzano film sul mondo militare e sulla guerra, puntano a ridicolizzare e a rendere assurdi il mondo militare e ciò che vi ruota attorno. Il sergente Hartmann, quindi, è un sadico fuori di testa assetato di sangue che vive su un pianeta alieno che si chiama Corpo dei Marines, dove assassini e serial killer vengono elogiati per le qualità marziali dimostrate, e non biasimati per i criminali che sono. Per cui alla fine il buono e semplice soldato Lawrence viene distrutto e rimodellato in un serial killer a sua volta dall'assurdità di un addestramento sadico che gli toglie tutta l'umanità e trasferisce l'amore nel prossimo in quello per il suo fucile, con cui bacia prima il sergente e poi se stesso.
Per quanto caricaturale, il sergente Hartmann (ma anche l'istruttore di "Ufficiale e gentiluomo") e il suo metodo è ciò a cui ci si riferisce quando si parla di assurdità della vita e dell'addestramento militare, la perdita della dignità, dei valori civili e del rispetto della persona.
Non ho mai fatto il militare, per cui chiedo a voi: ma è davvero così assurdo?
Io mi sono fatto questa idea, ditemi voi se e quanto è sbagliata.
Spesso nella retorica delle bandiere che garriscono e delle caramelle ai bimbetti ci si dimentica convenientemente che il lavoro del soldato è uccidere. Può fare molte cose di complemento o nel frattempo, può pattugliare le strade, può rimuovere la monnezza, può dare le caramelle ai bambini, può costruire scuole strade e ponti, può fare l'autista al colonnello, può fare il magazziniere, o il cuoco, o l'impiegato al distretto, e in anni tormentati da gravi lacune di doti civiche può trovarsi a fare molte mansioni in Patria che non gli competono, e molto probabilmente non ucciderà mai nella sua carriera.
Ma lo stipendio lo prende perchè deve saper uccidere, per nome e per conto dello Stato, al posto posto dei civili che non lo sanno e non lo vogliono fare, e che pagano lui/lei per farlo. Se si leva la componente violenta dalle FFAA restano i boyscout, o doppioni di cento o mille comparti civili che costruiscono ponti, scuole e strade, danno caramelle ai bambini, fanno i cuochi i magazzineri gli autisti o gli impiegati in un ufficio. Le Forze Armate di un Paese sono il suo braccio violento, l'extrema ratio, la deterrenza, il "quando fallisce la diplomazia", chiamatela come volete: sono una minaccia o promessa di morte, il "sennò" che aleggia implicito negli atti di politica estera. Per offesa o per difesa, per proteggere diritti o persone, quello dipende dallo Stato in questione, ma le FFAA fanno quello, servono a quello. E visto che di solito ci si trova ad interfacciarsi con dei colleghi di lavoro ma di opposta fazione, il rischio professionale concreto ed implicito è quello di morire.
Ad ogni modo, non è un lavoro semplice, tantomeno negli anni in cui viviamo, di benessere e di diritti crescenti (e doveri decrescenti), di sicurezze date per scontate e per cui si teme ogni minaccia. Le nostre vite, fortunatamente, sono quasi completamente edulcorate da ogni tipo di violenza reale, e non faticherei a credere che più della metà delle aspiranti reclute delle nostre FFAA non abbiano mai partecipato volenti o nolenti ad una rissa, o ricevuto un pugno sul naso. Se mettiamo le donne nel numero, forse possiamo arrivare al 90%. E questo so essere un problema per gli istruttori dei marines americani, figuriamoci per i nostri. Probabilmente alcuni si lascerebbero morire di fame piuttosto di torcere il collo ad una gallina. Non esiste alcuna preparazione alla gestione dello stress e alla violenza, fatta e subita. Per cui credo, e davvero se mi sbaglio correggetemi, che buona parte della preparazione di un soldato sia trasformarlo psicologicamente, da civile a militare, da persona disabituata alla violenza a persona che sotto pressione e durante momenti di grande pericolo di vita mantiene il sangue freddo, anche perchè non conviene dare delle armi a delle persone che sotto pressione perdono il controllo e fare selezione tra chi può e chi non può, a maggior ragione visto che il nostro è un esercito professionale e non di leva.
Torniamo ora agli insulti. Palla di lardo, vacca, zo***la, cornuto, figlio di *******, tua sorella fa i po****i per cinque euro. Fa brutto anche solo leggerli, vero? In un contesto civile, sono epiteti inscusabili, insopportabili, completamente al di fuori di ogni logica di convivenza sociale, un assalto all'onore personale. Se non in grado di potersi difendere da chi ci offende, per paura o per subalternità, ci si trova in una situazione di bullismo o mobbing.
Ma è davvero questo il caso, durante l'addestramento militare? A me non sembra. E non mi sembra neanche, come dice l'avvocato difensore del sergente/caporale G.M. un "pungolo" a fare meglio. Non potendo simulare una situazione di scontro a fuoco, di rischio della vita, di violenza fisica reale, a me sembra un ottimo surrogato, economico e tutto sommato efficace, per creare stress, che si spera l'aspirante soldato impari a gestire.
Una pallottola è fatta di piombo, un insulto è fatto di aria, e forse se uno non capisce la differenza, se pensa che sia meglio farsi sparare che farsi insultare, che si possa denunciare un istruttore perchè ti ha chiamato balena o figlio di *******, se insomma non si è in grado di poter tollerare lo stress causato da delle vibrazioni di aria, forse nella vita si potranno fare tante altre cose, la ballerina il papa il cardiochirurgo l'avvocato il cocchiere o la presidente di Confindustria, ma non il soldato, perchè il compito del soldato è amministrare la violenza e la morte con sangue freddo in situazioni di grande stress mentale e fisico, e non saper distinguere il piombo dall'aria calda è ragione sufficiente per suggerire un cambio di mestiere, secondo me.
Sbaglio?
((è un muro di testo, sono logorroico, scusatemi tanto))