Originariamente Scritto da
Wiseman
Si potrebbero dire tante cose.
Che tra religione e fede, come ha già notato più di qualcuno, c'è una differenza profonda.
Che tra religione e catechismo (= diffusione universale del messaggio) c'è spesso un abisso.
Che la cultura media in materia di religione non è esattamente da eruditi, e che quindi alcuni aspetti rischiano di essere tralasciati o fraintesi...
Io provo semplicemente a mettere le cose in prospettiva storica.
Le grandi religioni politeiste del passato, in area mesopotamica e poi indo-europea, sono religoni legate essenzialmente alle paure primitive, come la paura del tuono e delle tempeste, ed alle speranze elementari (la fertilità, il raccolto). L'olimpo greco-romano si distingue per l'enorme sforzo di antropizzazione delle figure divine: che hanno passioni e vizi, non sono modelli comportamentali.
Poi arrivano le religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islam. Tentativi, a diversi livelli di affinamento, di estendere alla vita quotidiana alcuni precetti etici ed igienici che aiutano a regolare la vita sociale.
Cade l'impero romano, e l'organizzazione territoriale della chiesa cattolica rimane l'ultimo baluardo di riferimento per le comunità sociali, amministra le leggi, impartisce certezze. Nel rogo culturale di quel tempo, il riferimento diventa Aristotele, la cui opera quasi enciclopedica si presta ad essere adottata come parametro e fonte del sapere: ipse dixit, l'ha detto lui. L'errore è stato confondere le prescrizioni etiche (regole comportamentali utili alla ricostruzione di un tessuto sociale organizzato) con quelle scientifiche, necessariamente ancorate al loro tempo (la terrà è piatta, al centro del sistema solare).
Balzo in avanti clamoroso, riforma luterana e controriforma. Vita secolare e vita spirituale non coincidono più, e forse neppure derivano l'una dall'altra (Calvino introduce l'idea della predestinazione, e lui e Lutero abbandonano il concetto delle opere di bene come un fidelity program per conquistare l'aldilà). A Roma ci si irrigidisce un tantino, si avvia la caccia alle streghe, agli eretici, ai diversi.
Ultima tappa, il relativismo etico contemporaneo: ciò che va bene a me, per me va bene. Non ci sono valori assoluti, anzi è un dovere contestare tutto e tutti per poi darsi un sistema di regole a proprio uso e consumo.
Scusate il raptus.
Mi serve a sottolineare la estrema criticità del quesito niziale e, di conseguenza, la deriva che assume la discussione.
Cos'è che consideriamo la "parte oppiacea" della religione, le sue regole sociali o quelle che comportano il controllo sulla comunità? Il fatto che impongano, ad esempio, la monogamia all'interno del matrimonio, per avere certezze sulle paternità e sulla procreazione, o l'associazione alla categoria del "peccato" di comportamentyi che potremmo ritenere fisiologici (e che, con lo strumento della confessione, divengono mezzi di ricatto sociale)?
Di quale parte della religione vorrebbero fare a meno i Colleghi che ritengono migliore un mondo senza religione? Tutta? anche la speranza che non si negano neppure gli atei?
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