E’ l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. In un excursus storico breve e ricco di aneddoti, il senatore a vita ricorda le tappe fondamentali dell’iter che 30 anni fa portò alla nascita Gruppo d’intervento speciale dell’Arma.
Signor presidente, ci vuole raccontare come si arrivò nel 1978 alla costituzione del GIS?
Nel lontano 1976, fu convocata dall’allora ‘Home Secretary’, cioè ministro dell’Interno del Regno Unito Roy Jenkins, mio amico, una riunione segreta dei ministri dell’Interno o aventi analoga responsabilità dell’allora Comunità Europea, eravamo in 11. L’incontro si tenne in un bellissimo castello e fu presieduto da Jenkins, che diede l’allarme terrorismo. Quello che allora si temeva era il cosiddetto terrorismo di massa, poi invece ci fu sia il terrorismo di massa che quello individuale, la gambizzazione. Io rientrai in Italia, feci una riunione e decisi di vedere cosa ci fosse in giro. Andai a visitare lo Special Air Service (SAS) in Gran Bretagna, il GSG 9 a Monaco di Baviera e poi il reparto antiterrorismo del Royal Marines.
Scelsi come modello l’Inghilterra, il SAS. Tornai qui e feci venire gli ufficiali dello Special Air Service, i quali mi dissero che ci sarebbe voluto perlomeno un anno e mezzo o due per la formazione del nostro personale. Gli chiesi di individuare i reparti dell’Esercito e della Marina che fossero in grado, con un certo addestramento, di fare unità di antiterrorismo e loro segnalarono in primo luogo il GOI, Gruppo Operativo del Comsubin, a seguire il Col Moschin e li prepararono. Mi recai in visita ai due reparti; nel medesimo periodo si costituì il GIS. Il giorno stesso feci due direttive distinte e inventai il nome, perché il GIS nella direttiva ‘gruppo intervento speciale’, era scritto in minuscolo.
Lei è intervenuto anche per il nome?
Sì, il nome l’ho realizzato io, sia per il NOCS che per il GIS. Questi reparti venivano impiegati in funzione del terrorista e per operazioni d’ordine pubblico speciali o di polizia giudiziaria a gravissimo rischio. Ho seguito tutto passo dopo passo, tant’è vero che sono Operatore onorario del GIS, alla cerimonia vollero omaggiarmi del loro berretto e scherzando dicono che io sono il loro padrino e tutti gli Operatori i miei figliocci. A proposito del copricapo, c’è da precisare che gli incursori vorrebbero il berretto verde, che è di tutti i reparti speciali salvo il SAS, che è color sabbia, perché l’origine dei SAS Special Air Service, era dei ‘topi del deserto’. Pensi che il loro capo si convertì al cattolicesimo e si fece prete.
Il GIS viene impiegato anche per le scorte ad alto rischio, ad esempio in occasione di visite come quella del presidente degli Stati Uniti. Non so se lo facciano più, ma quando avevo qualche ospite particolare, loro disponevano un reparto acquartierato a Palazzo San Andrea. Tra le cose che si possono dire: hanno la pianta della mia casa nel computer in modo tale che se ci fosse bisogno intervengono. Adesso vengono mandati come gli altri reparti speciali in Afghanistan e anche in Iraq, dove i loro istruttori svolgono attività addestrativa al personale del posto. La mia prima scorta quando sono stato eletto presidente della Repubblica, ma non avevo ancora giurato, era composto da una squadra del GIS.
Chi dà l’attivazione al reparto?
L’Arma dei Carabinieri ha una doppia dipendenza: dal ministro della Difesa e dal ministro dell’Interno. Il GIS dipende dal ministero della Difesa come Forza speciale. Come forza di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, dipende dal ministro dell’Interno. Infatti, chi può dare il ‘La’ all’impiego del GIS (e anche con o senza l’autorizzazione del magistrato nell’operazioni di ordine pubblico) è il ministro dell’Interno, che si assume la responsabilità. Il più delle volte hanno fatto interventi senza spargimento di sangue, ma sono addestrati per questo.
Adesso abbiamo anche il 17° stormo incursori dell’Aeronautica.
Esatto. Ho sollecitato lo stato maggiore della Difesa perché si risolva la questione del berretto verde e tutti i nostri reparti speciali possano indossarlo, non soltanto il Comsubin della Marina. Ritengo auspicabile una risoluzione della faccenda in tempi brevissimi.
E’ stato complesso in quegli anni proporre una novità come il GIS alle istituzioni e all’opinione pubblica senza ingenerare perplessità, o peggio, il timore di una certa ‘instabilità’ nel Paese?
Le prime perplessità le ho ingenerate nel capo della polizia e nel comandante generale dell’Arma. Io avevo solo 46 anni. Non erano favorevoli a una cosa del genere perché loro erano abituati al servizio territoriale, alle investigazioni, all’ordine pubblico, ma non a queste cose. Poi naturalmente quando io, richiamando le leggi, ho dato la direttiva agli uni e agli altri, si sono adoperati. Le sorti di questi due reparti dipendono da come la prendono il capo della polizia e più che il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, il capo di stato maggiore dell’Arma. Ci sono quelle persone che ci credono, altre meno e quindi le sorti - più mezzi, meno mezzi, più uomini, meno uomini - dipendono da come la pensano il capo della polizia per i NOCS e per il GIS il capo di stato maggiore dell’Arma dei Carabinieri. Gli Operatori hanno dei sistemi d’arma avanzatissimi. Dovrebbero avere, a mio avviso, una zona d’addestramento migliore di quelle attualmente a disposizione. Tanto è vero che io avevo consigliato, quando c’era il precedente comandante generale, che si facessero dare i fondi per l’acquisto degli ATR, per avere sempre una capacità fissa.
C’è un momento particolarmente bello o significativo che lei porta nel cuore?
La prima volta che ho visto il GIS in manovra e poi quando sono diventato presidente della Repubblica. Sono venuti due volte a Castel Porziano a fare l’esercitazione. Devono essere uomini di coraggio, ma non temerari, perché se sono temerari portano alla morte se stessi e gli altri. Quindi devono avere in sé doti di pacatezza e determinazione. I nostri sono giustamente stretti da vincoli molto più che non il SAS.
In un’intervista di dieci anni fa lei prospettava una ristrutturazione e un ampliamento del GIS nell’ottica di un impegno internazionale sempre più complesso. Oggi il Gruppo opera nell’ambito joint, attraverso l’inquadramento nel COFS (Comando interforze delle forze per operazioni speciali), è inserito nel progetto di cooperazione europea denominato ATLAS e in ambiti NATO. Qual è il suo parere a proposito?
Rispetto alle Forze speciali generali, il GIS è una specialità nella specialità e non va snaturato, perché il GIS è nato come forza antiterroristica. Il Gruppo dovrebbe avere una doppia vocazione, che si specializzi, ma se il GIS si amplia è fondamentale che rimanga sempre un nucleo per le operazioni di carattere interno, interno internazionale, come un tempo io creai l’Un.I.S. (Unità d’Intervento Speciale). Per esempio, il SAS britannico aveva un team che si chiamava ‘Pagoda’, una capacità da impiegare per interventi speciali, dove facevano ruotare il personale in modo che tutti apprendessero questo mestiere. Loro intervenivano in borghese e avevano gli elicotteri e le macchine con la targa civile.
Tra le ultime novità del GIS c’è il Centro nazionale di formazione per l’addestramento degli ‘Addetti alla sicurezza e alle scorte’. Ritiene che sia un bel riconoscimento per il reparto e per l’Italia?
Sì. Teniamo presente questo: la scorta è una cosa delicatissima, una specialità. Per esempio, nelle mie macchine io ho lo sportello che non posso aprire, lo apre il conducente o il caposcorta e dopo che - all’americana - il primo che è sceso ha dato un pugno sul vetro. Ricordo la prima scuola per le scorte, in una base della polizia che adesso è diventata una struttura interforze. Il personale della CIA e dell’FBI venne ad addestrare gli istruttori delle scorte e siccome gli americani sono molto realisti, vollero fare una simulazione a Oristano, in un supermercato, senza avvertire né il prefetto, né il questore, né il comando dei Carabinieri. C’era uno di loro che faceva il ‘boss’, come lo chiamano loro, cioè lo scortato, con la scorta e il tentativo di rapimento. Fatto sta che furono costretti a pagare i danni perché sfasciarono tutto il supermercato e ci fu l’intervento di polizia e Carabinieri perché credevano che fosse un rapimento.
In USA i cittadini nutrono molto affetto per i propri soldati. Lei ritiene che noi italiani riusciamo a garantire ai nostri militari lo stesso conforto?
No. Da noi c’è stata la rottura del fascismo. Poi c’è stata la rottura del Paese in due, e metà del Paese è stata abituata a vedere le Forze armate - adesso si sta superando - come uno strumento al servizio dell’imperialismo americano. Bisogna recuperare. Tenga presente che gridare viva l’Italia o sventolare il Tricolore veniva considerato fascista.
Oltre a migliorare i piani addestrativi, non sarebbe opportuno dare più valore alla centralità dell’uomo e ai valori umani, magari puntando sul supporto alle famiglie dei militari, come fanno negli Stati Uniti ormai da decenni?
Tenga presente che non ci sono buoni eserciti se non ci sono buoni soldati e non ci sono buoni soldati se non sono tranquilli. E’ inutile tenere un militare se ha guai di famiglia perché lontano dai propri congiunti, non rende. In Francia hanno grosse basi e la Spagna ha dei villaggi della Guardia Civil e National. In Italia non è la mentalità, però si potrebbe fare un esperimento, almeno cominciando dai corpi speciali. In questo villaggio che io ho visitato in Spagna c’erano gli uffici, la caserma della Guardia Civil, tutte le famiglie, la cappella comune e poi c’erano piscine diverse, una per addestramento e una per bambini, così come le palestre, diverse. I militari potevano andare nella palestra dei civili solo per accompagnare i propri familiari.
Lei ha trascorso le vacanze estive in Vallunga a Selva di Val Gardena, dov’è stato accolto presso il Centro addestramento alpino dell’Arma. E’ stato sul ghiacciaio con i nostri Carabinieri?
Sì, ma portato in elicottero. Il rocciatore di ghiaccio non l’ho mai fatto, il rocciatore di montagna sì, per passione, però adesso non si può più fare. Si erano offerti di tirarmi su imbracato, ma non era il caso.
Lei è stato nominato Operatore ‘ad honorem’ e vice brigadiere a titolo onorifico. In che cosa si sente più vicino a questi uomini?
Mi sento molto legato a loro, ai miei ‘inferiori e superiori’, anche perché si tratta di reparti che in Italia ho inventato io, copiandoli da modelli esteri, naturalmente gli italiani hanno portato le loro caratteristiche. Dicono che sono il loro padrino e questo mi fa molto piacere.
Da un'intervista di Giovanna Ranaldo di PagineDifesa.it
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