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Discussione: Cuori d'acciaio all'erta!

  1. #31
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    Risuona lo squillo di tromba, schizzo fuori con gli altri puniti. Al vedermi, il Terribile sembra divertito: - Di nuovo qui?
    Scatto sull’attenti: - Comandi!
    - Non esci mai?
    - Comandi. Pisa fa schifo.
    Fa una smorfia: - Mai quanto Livorno.
    Dopo l’appello, che registra due mancanti, veniamo spediti a ramazzare. M’avvio con gli altri, rimbomba il vocione del maresciallo: - Gagliardi, al tempo!
    Resto immobile, sull’attenti.
    M’osserva la faccia: - Il sopracciglio?
    - Comandi. È a posto.
    - Torni in palestra?
    - Comandi. A parte il fatto che non sono ben visto…
    - Stronzate!
    - A parte le stronzate, mi sa che non avrò proprio il tempo. Lo sten me l’ha giurata.
    - Che cazzate vai sparando?!
    - Comandi. M’ha chiesto di metter firma.
    - Ma tu hai rifiutato.
    - Comandi. Voglio tornare dalla mia ragazza.
    - Ah sì, Beirut. Hai una foto?
    Dopo un attimo d’esitazione, prendo il portafogli ed estraggo il prezioso cartoncino. Il maresciallo l’osserva, in preda allo stupore.
    - Comandi. Si chiama Sophie. Bella, vero?
    - Ma è armata!
    - Comandi. Corteggiarla è stato pericolosissimo.
    La sua risata, improvvisa e violenta, mi fa sobbalzare: - Una bella ragazza in uniforme, con tanto di Kalashnikov. Andiamo, raccontami ‘sta storia.

    Lo seguo chiacchierando, un po’ esitante un po’ felice. Ho troppe cose dentro, da troppo tempo. Man mano che mi confido, sale un senso di sollievo. Senza rendermene conto, gli racconto quasi tutto. Infine taccio, l’anima svuotata e leggera.
    Il maresciallo inarca il soparcciglio: - Come pensi di campare a Beirut?
    - Comandi. Finché c’è guerra, c’è speranza.
    Sul suo viso un ghigno divertito: - Ho anch’io una foto da farti vedere.
    Fatico a deglutire. Rimango senza fiato osservando l’immagine in bianco e nero, seppiata dagli anni, di cui in caserma tutti parlano.
    Gli altri puniti tornano dal piazzale. Il Terribile riprende la sua foto, mi dà una terribile manata sulle spalle: - Ci si vede, collega.

    Domenica, vigilia di Natale, la punizione è scaduta. Ma non posso uscire, sono di guardia. L’unica cosa divertente è che, dopo il rapimento Moro, si monta col colpo in canna. Mi unisco alle altre guardie, tutti anziani. Alle raffiche di stecche non faccio più caso, le solite battute mi rimbalzano. Come si dice qui, è una ruota. Un giorno nella parte alta ci sarò io. E polverizzerò ogni record di bastardaggine. Un anziano gracida fastidioso: - Mostrissimo, non capisci una min chia! Morfina, come caxxo tieni il fucile?!
    Lo afferro per la Verde, ringhiando: - Ma tu lo sai che sono armato e pericoloso?
    Un altro gli mormora: - Lacia perdere, è il matto che ha legnato Favero e Pozzi.
    Il caporale mi prende a benvolere, cioè sfotte col sorriso e senza urlare troppo. Foglio e penna in mano, ghigna: - Allievo, sto facendo i turni. Preferenze?
    La postazione peggiore e gli orari più di ***** già so che toccano a me, dono degli anziani per la mia prima guardia. Tanto vale rispondere: - Comandi. Il posto più massiccio, il turno più operativo.
    Mentre vengo istruito sulle varie procedure, non riesco a non pensare a come festeggerò la mezzanotte. In questa cupa Vigilia, la visita dell’ufficiale di picchetto. Il mio sten. Che sorride, facendoci gli auguri.
    Per la prima volta in vita mia rimango a corto di bestemmie.

    Freddo, nevischio, notte ideale per le renne. E per un turno al deposito automezzi. Aguzzo la vista, due ombre sfiorano il cono di luce del lampione: - Altolà! Chi va là?
    Risolino soffocato: - Paperino e Qui, Quo, Qua.
    Col pollice spingo giù la levetta dalla sicura al colpo singolo, punto il FAL: - Fermi o sparo!
    - Caxxo fai, allievo?! Metti giù l’arma. Capoposto con ispezione!
    Abbasso lentamente il FAL: - Capoposto con ispezione, avanti per riconoscimento.
    Il caporale s’avvicina col mio sten, chiede se ho rimesso la sicura, procede con le domande di rito. Rispondo come da libretta. Lui lancia lì una battuta, non rido. All’improvviso lo sten scatta e afferra il mio fucile. Stringo la presa, gli tiro una pedata, cade indietro. Bestemmia incazzato, fa per rialzarsi, la sua tempia urta il tromboncino del FAL. L'ufficiale impallidisce. Dito sul ponticello, lo osservo attraverso il mirino: - Se ti sparo, mi spetta la licenza premio.
    Il caporale sbianca pure lui: - Allievo, caxxo! Metti giù l’arma!
    Sibilo: - La devi finire di rompermi i coglioni.
    Faccio un passo indietro. Lo sten torna in piedi, scuotendosi via la fanghiglia con le mani. Il caporale lo aiuta. Se ne vanno.
    Ultima modifica di gagliardi; 20-06-20 alle 16: 43
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  2. #32
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    A metà pomeriggio del giorno di Natale smonto di guardia. Torno in camerata, mi cambio velocemente, esco. Diluvia, tira vento. La città, sepolta dal fango, appare ancora più squallida. Tranne quell’unica piazza, che è veramente un miracolo, Pisa è un gigantesco cesso. Non basterà il diluvio universale a lavarla. Gli abitanti sono perfettamente adeguati. Stronzi. Rallento per chiedere l’ora ai passanti. Uno risponde che non fuma, un altro manco mi sente, smetto di domandare e affretto il passo. Arrivo ansioso e ansante alla stazione. Ultimo tratto di corsa, mi blocco davanti al cartello: - Nooo.
    “Chiuso”.
    Disperatamente prendo a calci la porta sbarrata. Recupero il controllo, riproverò domani. Uscito dalla stazione, m’infilo nel primo bar.

    Ambiente poco illuminato, forte odore di vino. Il barista, vecchio e calvo, mi guarda schifato: - Ir che tu vòi?
    - Vino.
    Un sibilo fra i rari denti: - Bian’o o rosso?
    Lo guardo con aria di sfida: - Rosso. Come il colore dei nostri baschi e del sangue che versiamo per la Patria.
    Mentre riempie il bicchiere, vedo appeso tra le bottiglie alle sue spalle un gagliardetto. Partito Comunista Italiano. Con aria disgustata, lancio le monete sul bancone. Dita ossute scattano rapaci ad afferrarle.
    Voce nota: - Occhioqua!
    Mi giro. Seduti a un tavolino, Pozzi e Favero in borghese.
    Controvoglia li raggiungo. Pozzi non smette di fissarmi, ma è Favero a parlare: - Allievo, c’è una cosa da chiarire. Poi si beve - E comincia a versare il vino.
    Pozzi stringe il bicchiere: - La testata non era volontaria.
    Lo squadro un attimo: - Neanche il calcio.
    Le sue labbra si piegano in una smorfia che forse è un sorriso: - Allora siamo pari.
    Favero alza il bicchiere: - Buon Natale.
    Brindiamo, bevo un lungo sorso.
    - E non sono un imboscato.
    - Non l’ho mai pensato.
    - L’hai detto.
    - Solo per farti incazzare.
    Annuisce: - Cos’è quella roba che fai tu?
    - Boxe tailandese.
    - Si fa coi piedi?
    - Pugni, calci, gomitate e ginocchiate.
    Favero si lascia sfuggire un rutto d’approvazione: - Massiccio. Combattimenti?
    - In Italia pochi, bisogna andare all’estero.

    Chiacchieriamo per un po’. Devo ammettere che, senza gradi e senza grida, sono due simpatici ragazzi. Lancio un’occhiata al vecchio, mormorando: - Perché dare soldi a quel bastardo comunista?
    Favero, apparentemente svagato: - Oh, il vino è buono.
    Pozzi: - Sì, il vino. Lui fila con la figlia.
    Ridacchio, ripetendo l’espressione dialettale che gira anche in caserma: - La trombi a sfregio?
    In quel momento si apre la porta del locale: - Babbo, babbino, babbuccio!
    Giro gli occhi, rimango folgorato. Altezza media, capelli chiari, bel viso. E due protuberanze eccezionali.
    Dopo aver baciato babbuccio, guarda il nostro tavolo e sorride agitando la mano: - Ciao!
    Le mie pupille sobbalzano ritmicamente al suo incedere, Pozzi mi dà una gomitata: - Chiudi la bocca, allievo.
    La ragazza siede a parlare con Favero. Che, scopro, si chiama Giorgio. O meglio Giorgio Giorgino Giorgetto. Risuona la voce infastidita del vecchiaccio: - Liberata!
    Lei si alza, torna verso il bancone. Contemplo estasiato il morbido oscillare delle anche.
    Pozzi: - Non la tromba a sfregio, no.
    Riempio i calici, sollevo il mio, scandisco: - A Liberata, Liberatina, Liberatetta.
    I bicchieri tintinnano: - Libera tetta!

    Mentre babbuccio parla di politica con gli avventori, giovani, belli e simpatici quanto lui, ricompare Liberata. Che ha bisogno d’aiuto per non so cosa. Favero sparisce con lei nel retro. Li osserviamo ghignando, Pozzi riempie i bicchieri: - È vero che stavi sparando allo sten?
    - Se lo meritava quel bastardo.
    - È un pazzo fanatico. Ha promesso una licenza a Morabito se ti fa rinunciare.
    - Mi rimbalza.
    - Ma tu che gli hai fatto?
    - Boh!
    Dopo un po’ riappare Favero, espressione beata. Usciamo, seguiti dallo sguardo obliquo di babbuccio. Il quale altro non ha fatto che scoccare occhiate malevole. Mi dò una prolungata strizzatina ai coglioni. Pozzi ride: - Hai le piattole?
    Lo guardo storto: - È contro il malocchio.
    Favero sbuffa: - Stronzate.
    Ribatto serissimo: - In omnia pericula, tasta testicula.

    Corso Italia è pressoché deserto, mi fermo a guardare una vetrina: - Ci stanno seguendo.
    Favero, infastidito: - Allievo, sei paranoico.
    Pozzi: - Li ho visti anch’io.
    Favero scrolla le spalle: - Mi rimbalza.
    Acceleriamo il passo in direzione dell’Arno. Nei pressi del lungofiume mi volto. Nessuno.
    - Visto? Siete due paranoici.
    Quando già scorgiamo Ponte di Mezzo e sul lungarno s’apre una piazzetta, ci sbucano davanti due ragazzi. Alle nostre spalle ne sono apparsi altri tre.
    Guardo Favero: - Paranoici, vero?
    Aspettiamo, in tasca le mie dita stringono l’amuleto.
    Uno si pianta davanti a Favero, scuotendo il testone di capelli ricci. Parole veloci, in dialetto. Capisco chiaramente Liberata. Favero lo spinge indietro.
    Un attimo prima che scoppi il parapiglia, lo scatto del mollettone blocca tutti. Soprattutto il pisano, che ha la punta della lama sulla gola. Immobile, non respira.
    Sibilo: - Vattene.
    Lentamente fa un paio di passi indietro, senza smettere di fissarmi e mormorare cose piene di ‘c’ aspirate. Infine si gira, e sparisce con gli amici fra le ombre della piazzetta.


    Qui termina il secondo dei tre capitoli di questo breve racconto. Resto in attesa di un vostro feedback.
    Ultima modifica di gagliardi; 20-06-20 alle 16: 46
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  3. #33

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    Meglio di un romanzo!
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  4. #34
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    Citazione Originariamente Scritto da Kojak Visualizza Messaggio
    Meglio di un romanzo!
    Infatti!

    Gagliardi, ma quindi questa è parte di un lavoro che intendi pubblicare?

  5. #35

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    In attesa di feedback? Appassionante, avvincente, ben scritto. Non vedo l'ora di leggere il resto. Complimenti!
    Guardia Particolare Giurata - Sicurezza Aeroportuale

  6. #36
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    Vi ringrazio



    Nel pomeriggio di Santo Stefano corro per la città, semideserta e semipiovosa, stringendo come un amuleto la foto di Sophie. Spero tanto di sentire la sua voce. Trovo l’ufficio SIP miracolosamente aperto, m’affretto a entrare in cabina. Faccio il numero, cuore in tumulto. Dalla cornetta i soliti rumori, poi lo squillo della chiamata. Voce d’adolescente: - Allô.
    Riconosco il fratellino: - Allô, Philip?
    - Oui.
    - C’est André, de l’Italie. Bon Noël. Il y a Sophie?
    - Elle est pas là.
    Bestemmio silenziosamente contro la sfiga e il mio francese da imbranato: - Elle revient quand?
    - Je ne sais pas. Je lui dis que tu as téléphoné. Bon Noël, André.
    Esco deluso e infuriato, la pioggia è sempre più forte.

    In camerata, tranne Cale, nessuno manca. Li guardo stupito: - Che cacchio fate dentro?
    Basile, sconsolato: - Tutti di servizio siamo.
    Dalmasso sospira: - Rinunciano in tanti, restiamo noi felici pochi...
    Lo guardo male: - Nostalgia delle merde?
    - Negativo, tra poco tiriamo il fiato. Arriva il nostro regalo di Natale .
    - Arriva che?
    - I ministeriali, quelli che fanno domanda per i parà quando la naja è iniziata. E vengono qui già vestiti dal CAR dei fantozzi
    Mi scappa una ghignata: - Baschi neri in caserma? La guardia sparerà.
    - Dovrebbe. Sono tutti toscani e comunisti.
    - Toscani? Ma se in caserma non ce n’è praticamente nessuno.
    - Perché sono imboscati. C’hanno tutti il paraculo, e finiscono in qualche ufficio a far la pacchia. Tornano a casa ogni sera col pernotto, in più nel week-end hanno il Trentasei fisso. Escono sabato e rientrano domenica. Cioè, caxxo, oltre alle licenze normali.
    Scuoto la testa con orrore: - Non ci credo.

    Il giorno successivo, tornando in camerata dalla mensa, trovo accanto alla mia branda un ragazzo nuovo sistemarsi al posto di Bottero. Basco nero in mano, capelli biondi un po’ lunghi, gira intorno spaesato gli occhi azzurri. Mi vede: - De’, i’ son Feffe.
    Lo guardo serio: - Qui ci chiamiamo per cognome.
    - Federico Fontana.
    - Andrea Gagliardi. Sei un ministeriale?
    - Sì, te m’aiuti? ‘Un ci ‘apis’o ‘na se’aa!
    - Come?
    Sorride: - Non ‘apisco una sega. Ma tu ‘apisci l’italiano?
    - Il tuo non tanto.
    - Male. L’italiano deriva dal toscano.
    - Io sapevo che deriva dal latino.
    M’osserva la fronte: - Occhè tu c’hai?
    - Incontro di boxe.
    S’illumina: - Boia de’, mi garba anch’ammè la bòkkese! ‘I s’allena ‘nsieme?
    - Non è che sia il massimo la palestra qui. Sei pisano?
    - Noo! Di Buti.
    È un paesino a pochi chilometri, inarco il sopracciglio: - Allora sei butano.
    Ridacchia: - Butese, però m’alleno ‘vi a Pisa. Stasera, de’, saddiandà!
    Strabuzzo gli occhi: - Cosa?
    - S’ha di andà, bisogna andare. C’hai da imparà ‘r vernàolo, Andre.
    - Già so l’inglese, ‘guagliò.
    Echeggia un rimbombar di Vibram, irrompe Morabito: - Ci smeniamo la min chia qui?
    Scattiamo sull’attenti, il caporale si blocca inorridito: - Cos’è…quello?
    L’inconsapevole ministeriale stringe fra le dita il copricapo del suo vecchio reparto di fanteria. Morabito punta il dito: - Che caxxo è quelloo!?!?
    Feffe, paralizzato, non risponde.
    Il graduato gli strappa il basco dalle mani e lo getta sul pavimento: - Pestalo!
    - Come?
    - Si dice “comandi”, testa di min chia! Pestaloo!!
    Il butese esegue, Morabito non si placa: - A terra, fantozzi di *****!
    Dopo una cinquantina di flessioni, ringhia d’aspettarlo e s’allontana. Feffe si rialza con gli occhi di chi è appena atterrato su Marte: - Occhè gliho fatto?
    - Oltre a essere pisano, raccomandato e magari pure comunista?
    Mi guarda confuso, sorrido: - Noi siamo volontari veri, veniamo da tutt’Italia a farci un **** così per meritare il basco rosso avanguardia di gloria. A casa non torniamo mai, e in libera uscita finisce sempre a botte coi paesani tuoi, che rompono continuamente i coglioni. Tu, invece, della Folgore te ne fotti, hai chiesto Pisa solo per tornare a casa, scommetto che sei paraculato, se no troverai il modo d’imboscarti. E lasciamo perdere la politica. Per il resto non gli hai fatto niente. Anzi, secondo me gli stai simpatico.
    Rimbomba la voce di Morabito: - Paraculo d’un ministeriale!
    Sussurro: - Benvenuto in Brigata.

    Feffe sparisce con Morabito, riecheggia in camerata il canto di Pozzi: - Là nella valle c’è un filo d’erba, fanti di *****, fanti di *****!
    Fanno capolino altri due, arrancando sotto il peso di pagliericcio, lenzuola e coperte, più zaino valigia e zaino a spalla. Sento un tintinnar di posate nelle gavette che, infilate chissà dove, non si vedono. Dietro di loro, a sostenerli e spingerli con la sola forza della voce, un tonante Pozzi: - Minchie bollite, cani morti, fantozzi!
    Mi godo la scena, ghignando interiormente.
    Raggiunto il posto-branda, i due scaricano faticosamente le masserizie. Pozzi lancia loro un’occhiata piena di disgusto, poi guarda me: - Ci pensi tu?
    - Comandi.
    Il caporale esce, osservo i due, ansimanti: - Venite dall’Himalaya?
    Uno si gira stupito: - No.
    - Non siete sherpa?
    - No, perché?
    - Così, mi davate l’idea. Pratici di squadrazaini?
    Sguardi perplessi: - Più o meno.
    Indico il mio trespolo, con l’equipaggiamento perfettamente ordinato: - Fatevi un flash.
    I due osservano, doverosamente compunti.
    - Prima imparate, meglio è. Siete toscani?
    Uno sorride: - Luca Lucchesi, piacere.
    - Per caso sei di Lucca?
    - Provincia.
    L’altro, pure lui chissà perché sorridente: - Biagio Biagini, Pistoia.
    Li guardo male: - Io sono Gagliardi. E in questa camerata, a parte i caporali, comando io.
    Mi osservano perplessi e intimiditi. Ma, soprattutto, giustamente rispettosi.
    - Un consiglio. Qui bisogna schizzare.
    Annuiscono, rimanendo fermi.
    Irrompe Pozzi, sibila verso di me: - Spiegato tutto?
    - Comandi. Per filo e per segno.
    Pozzi fissa i due, incredulo: - E voi vi smenate la min chia? A terra!!
    Dopo averli fatti pompare all’infinito, li spintona verso la fureria.


    continua...
    Ultima modifica di gagliardi; 16-05-20 alle 12: 44
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  7. #37
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    Auletta di Compagnia. Lo sten indica tre cilindretti di colore rosso sulla scrivania: - SRCM, Società Romana di Costruzioni Meccaniche, modello 35. Conosciuta anche come Balilla, è una bomba a mano offensiva. Significa che il raggio d’azione esplodente, venti metri, è inferiore alla distanza di tiro. Dunque non è necessario ripararsi dalle schegge dopo il lancio. Quella con la riga azzurra è depotenziata, da esercitazione. L’altra, con la striscia gialla, ha carica da guerra. La capsula forata è, invece, fumogena.
    Dopodiché, con l’ausilio di un esemplare inerte e smontato, passa ad illustrarne il funzionamento. Involucro esterno d’alluminio, quarantatre grammi di tritolo binitronaftalina. Due sicurezze: l’ordinaria, cioè la linguetta da strappare, e l’automatica, una cuffietta metallica. Quest’ultima viene rimossa dalla pressione dell’aria durante il lancio. Una SRCM fatta rotolare non s’innesca, e non scoppia. Lo sten dimostra poi la corretta impugnatura, quasi come una palla da baseball. Indice, medio e anulare stretti sulla cuffia, pollice e mignolo sulla parte bassa dell’ordigno. Afferra coi denti la linguetta, tirando in basso la bomba.
    Biagini: - Comandi. Perché coi denti e non con l’altra mano?
    Lo sten scuote la testa: - Perché lei, allievo, usa questa bomba durante un assalto. E nell’altra mano ha il fucile!

    Fine orario addestrativo, i ministeriali sono tutti di servizio. Biagini e Lucchesi pattinano su e giù per la camerata. Feffe ha appena smesso di fare il pinguino e sospira poggiato al cubo, gonfio e storto come l’uovo d’un dinosauro.
    Gli batto la stecca: - Moriree.
    Mi lancia uno sguardo avvilito.
    - In palestra andiamo domani, se non ti fai punire. Pensa a lucidare anfibi e scarpe.
    Feffe esegue, intanto io disfo e rifaccio il suo cubo: - Vedi d’imparare, Paganini non ripete.
    Poco dopo entra Morabito, scattiamo sull’attenti mentre ispeziona i posti-branda. Cubi e scarpe degli altri ministeriali finiscono fuori dalla finestra, i loro nomi in tabella. Due giorni. Raggiunge la branda di Feffe, lancia la moneta. Al rimbalzo, sembra deluso. Un paio di occhiatacce, sparisce silenzioso in direzione dell’Olimpo.
    Feffe espira: - Gliè andata bene.
    Mi scappa una ghignata: - Non sai quanto, guagliò.

    Al mattino Feffe supera bene il trauma della prima sveglia alla Gamerra. Anche perché praticamente non ha dormito, fra turni di piantone e pompate di benvenuto. Durante la reazione fisica è l’unico dei ministeriali a non avere problemi nella corsa, patisce solo le urla incessanti dei caporali: - Cadaveri! Min chie bollite! Morfine!
    Rientrando in Compagnia, scuote la testa: - Son matti ‘vi.
    Strizzo l’occhio: - Di’ la verità, sei rimasto folgorato?
    Tutti ghignano, Morabito esplode: - A terra!
    Schizzati in camerata, i soliti novanta secondi per metterci in Verde e tornare giù. I ministeriali arrivano oltre il tempo massimo, e pompano. La colazione secondo Feffe è molto migliore di dov’era prima. Ma i tempi sono più ristretti. È ancora a metà quando ci alziamo. Alla “radunata”, i ministeriali non riescono ad arrivare in tempo e a non pompare. Ciò nonostante, Feffe si sforza di cantare Fratelli d’Italia pur senza conoscere le altre parole.
    Morabito arringa la truppa: - Siete sempre più morfine. Ma come min chia vi presento allo sten?! Quello vi schiaffa dentro fino al giuramento, mezzeseghe!
    La truppa, racchiusa in quadrato fermissimo, tace.
    Morabito scandisce rauco: - AT-!
    Le teste schizzano indietro.
    - Al tempo!
    E si ricomincia.
    Dopo una decina di minuti, l’istruttore sbotta con Lucchini: - Vuoi pompare da qui all’eternità e ritorno, o la fai una min chia di attenti?!
    Il ministeriale, rigido e perplesso, annuisce.
    Morabito gli strilla in faccia: - Si dice “comandi”!
    - Comandi.
    - Più forte, non sento!
    - Comandi.
    - Non sento un caxxoo!!
    - Comandi!
    - AT -!
    Scattiamo tutti.
    - Al tempo!
    Non eravamo tutti.
    - A terra!

    Allo spaccio Rebussi scocca a Feffe uno sguardo orripilato: - Ministeriale?
    Annuisco, pago i caffè, Feffe si meraviglia.
    - Faccia nuova, aria smarrita, chi puoi essere?
    - Perché smarrita?
    Gli faccio il verso: - Perché ‘un ci stai ‘apendo ‘na se’aa!
    Sorseggiando, esclama divertito: - Però gliè bono ir caffeino, de’.
    Si gira uno spaccista, comincia a intessere con Feffe un fitto dialogo dialettale, aspirato e incomprensibile. Usciamo, gli chiedo chi fosse lo spaccista. Uno di Pontedera, dice. Ridacchio: - Toscani, massa d’imboscati.

    Mentre Feffe si prepara per la libera uscita, io corro da Bottero a farmi togliere i punti. Dà un’occhiata al sopracciglio: - Guarito.
    - Bene, vado in palestra con un ministeriale di qua.
    - Brau piciu, così stasera torni a farti ricucire.
    - Perché?
    - Come credi che ti accoglieranno in una palestra di Pisa?
    - Spero meglio che in quella della caserma.
    Torno in camerata, Feffe è impaziente: - Occhè siei pronto, Andre?
    - Il cubo?
    - Gliè fatto.
    Lancio un’occhiata scettica alla sua branda, vedo un parallelepipedo perfetto.
    Arriva Morabito. Cubi e scarpe di Lucchesi e Biagini finiscono fuori dalla finestra, i ministeriali in tabella. Poi guarda Feffe: - Dulcis in fundus.
    Trattengo una risata: - Comandi. Non si dice dulcis in fundo?
    Morabito esplode: - Fatti i cazzi tuoi, ‘gnoranto!
    Lancia una moneta sul cubo di Feffe, rimbalza stupendamente. Neanche sul mio fa così. Il caporale, perplesso, la riprende e tira di nuovo. Di nuovo la moneta saltella sul cubo. Controllato anche il trespolo, l’istruttore s’allontana infastidito e insoddisfatto.
    Guardo Feffe: - Guaglio’, tieni il cubo bionico?!
    Sorridendo, solleva la coperta. Una scatola di cartone fa da armatura al pagliericcio.
    - Dove l’hai imparato ‘sto trucco?
    - Ir mi’ amìo di Pontedera.


    continua...
    Ultima modifica di gagliardi; 20-06-20 alle 16: 52
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  8. #38
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    Superato il cancello della SMIPAR, Feffe esulta: - Liberi, de’!
    Da una Renault 4 rossa, spunta un braccio: - O Feffe!
    Saliamo in auto. Al volante un uomo alto e grosso, che l’abitacolo stenta a contenere, mi scruta attraverso lo specchietto. Cerco di sorridere: - Ciao, sono Andrea.
    - Staafano.
    - Come?
    Feffe ridacchia: - Lui parla solo pisano stretto, vuol dire Stefano. È il mio maestro.
    L’auto parte, e taglia la strada a un altro veicolo. Che inchioda, suonando il clacson. Stefano agita il braccio fuori dal finestrino: - Puppaaa! - E tira dritto.
    Durante il viaggio chiacchiera con Feffe su come si trovi fra i matti. Impiego un po’ a capire che sta parlando della caserma. In effetti può anche sembrare un manicomio, soprattutto a un ministeriale pisano. Ma non resisto alla tentazione di chiedere lumi: - Perché matti?
    Nello specchietto vedo gli occhi di Stefano inquadrarmi minacciosi: - ‘Issi butta indall’aerio, gliè matto.
    - Abbiamo il paracadute.
    - Bravo, grullo. Essè ‘un s’apre?
    - C’è quello d’emergenza.
    - Essè ‘un funziona pure ‘vèllo?
    - Si tiene alto il braccio sinistro.
    Feffe sgrana gli occhi: - Perché?
    Strizzo l’occhio: - Almeno l’orologio si salva.
    Stefano scoppia a ridere: - Ganzo ir matto, de’!

    Parcheggiata l’auto, Stefano apre il portellone posteriore, ci tira le borse: - Intrate, matti.
    Osservo l’insegna, “Kurosaki Dojo”, spero non sia una pallosa palestra di arti marziali.
    Al nostro ingresso scende improvviso il gelo. Tutti si fermano a fissare i due estranei in divisa, capelli rasati, borsone con la scritta Folgore. L’ostilità è palpabile. Si ode solo una stridula musichetta, proveniente da un registratore, che riconosco immediatamente.
    Entra Stefano, osserva, ridacchia e urla: - Gliè Feffe, grulli!
    L’atmosfera si sgela improvvisamente, tutti accorrono felici a salutare l’amico ritrovato. Nel tripudio generale io rimango senza fiato a osservare sacchi lunghi e Pao. Infine mormoro, come in paradiso: - Muay-Thai…
    Feffe, divertito: - Boia de’, ‘gnamo a far guanti!

    La serata scorre in maniera per me memorabile. Faccio guanti un po’ con tutti, ricevo molti complimenti e diverse tibiate. Qualcuna anche la dò, e si finisce in bellezza con cinque round di clinch. Massacrante e divertentissimo. Prima di cambiarci, sessione di addominali. Alti, bassi, medi, obliqui, ricevono tutti specifica attenzione. Seduti, mani poggiate a terra, rifiatiamo tra una serie e l’altra. Nel silenzio rimbomba il lungo scorreggione di Feffe. Lo guardo: - Tu non sei butese. Sei butano, come il gas!
    Dopo un piccolo supplemento per Feffe Gas, Stefano manda tutti nello spogliatoio tra scherzi, risate e pacche sulle spalle.

    Si va a mangiare una pizza insieme. Nel locale gli avventori ci guardano storto. Il mio amico, passando tra i tavoli, ride: - Son Feffe, grullo!
    Invariabile la risposta: - Oh Feffe! Occhè tu fa’ co’ matti?
    Al tavolo chiacchieriamo piacevolmente di Muay-Thai, match vecchi e nuovi, tornei da organizzare. Assisto, nel frattempo, a una processione ininterrotta di ragazze che si sdilinquiscono tutte salutando Feffe. Gli dò una mezza gomitata: - Hai un sacco di ammiratrici.
    Annuisce, con una punta di tristezza: - Una volta.
    - ‘Zzo dici?!
    Prende una foto dal portafoglio. Ritrae lui sulla poltrona del barbiere, i boccoli biondi arrivano alle spalle. Sospira: - Ero ‘osì.
    Arrivano le pizze, assaggio la mia, immangiabile. Mentre soffoco una smorfia, squilla un richiamo cantilenante: - Feffe Feffino Feffuccio!
    Sollevo lo sguardo, che va a sbattere contro un enorme paio di tette. E lì si ferma.
    - De’, Liberata.
    - Occhè tu fa’ co’ matti?
    - Mi butto indall’aerio, de’! Ir tu’ babbo?
    - Benino.
    - E ‘r Mazzino?
    - Tra ‘npoìno arriva.
    - ‘Onosci ‘r mi’ amìo?
    A quel punto Liberata s’accorge di me. Nei suoi occhi un lampo di sorpresa: - No.
    - Andrea, ciao.
    - Ciao - E s’allontana.
    Posate in mano, non riesco a distogliere gli occhi dalle sue natiche fasciate dal jeans. Feffe ridacchia: - Gliè ‘npopoìno tegame Liberata.
    - Cioè?
    - Tegame, farda, maiala, tro ia.
    Guardo per aria: - Davvero?
    - Ir su’ ragazzo di’e 'he un matto di voi la vole trombà.
    - Guarda che sei un matto anche tu, adesso.
    - Già. Ir Mazzino…
    - Chi?
    - Gliè ir su’ nome. Mazzino, ‘ome Mazzini.
    Quasi soffoco dal ridere: - Mazzino e cornutone…
    - Occosa ridi? Gli han puntato ir cortello alla gola i matti!
    Impiego un attimo a realizzare, mi alzo precipitosamente: - È tardi, Feffe, saddiandà.

    Salutiamo gli altri, Stefano mi stritola la mano: - Vieni in palestra ‘vando vòi, matto, ‘on Feffe o sanza. E tra’n mesetto, ti s’organizza un match.
    - Grazie. ‘Issivede, Staafano.
    - Boia! Te parli pissano!
    Ridacchio: - Non sia mai.
    C’incamminiamo verso la Gamerra chiacchierando. Feffe sembra molto contento, e lo sono anch’io. I suoi amici m’hanno accolto bene. Il fatto che siano pisani un po’ mi turba. Non avrei mai creduto di poterne trovare qualcuno simpatico, invece ho trascorso con loro le ore più belle e spensierate di queste tre settimane a Pisa. Sta persino cominciando a divertirmi la parlata, bizzarra e colorita. Arriviamo nei pressi del portone: - Controlla l’uniforme, Feffe.
    - Perché?
    - Al cancello Pisa finisce, e comincia la SMIPAR. Un altro mondo.
    Annuisce sconsolato: - Gliè vero.

    continua...
    Ultima modifica di gagliardi; 03-05-20 alle 07: 52
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  9. #39
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    Mattinata al poligono. Osservo i ministeriali, sdraiati con altri in piazzola, pronti a sparare. Lo sten, dietro alla linea di tiro, urla: - Raffiche da tre!
    Feffe lascia partire serie un po’ più lunghe, ma lo capisco. Le prime volte è una goduria incontrollabile. Morabito strilla: - Piano, min chia!
    A Biagini, dopo tre secondi, l’arma si blocca con l’otturatore aperto: - Comandi. S’è inceppata.
    Il caporale, inginocchiato accanto: - È scarica, coglione!
    A Lucchesi il FAL s’inceppa davvero. Cerca di sbloccarlo, senza riuscire. Fa per tornare in ginocchio, girando la canna verso la faccia di Pozzi. Che sposta il FAL con una manata, e gli rifila un caxxotto sull’elmetto: - L’arma si punta sul bersaglio, testa di caxxo!
    Piomba lì lo sten furibondo, Lucchesi pompa allo sfinimento.
    Quand’è il mio turno, capito nella piazzola di Pozzi. Che fa una smorfia: - Occhio.
    - Tranquillo.
    Al comando tiro dolcemente il grilletto. Nonostante l’appoggio sul bipiede, la raffica strappa a destra e il calcio metallico tende a scivolare per il rinculo. Aggiusto la posizione della spalla, respiro, schiaccio di nuovo. E avanti così. Cambio il caricatore, sparo ancora, finisco anche il secondo. Troppo in fretta: - Ma quanti colpi c’erano?
    - Quindici.
    - Ah, ecco! Sembravano pochi.
    - Così la molla del caricatore patisce di meno. E io ho più colpi per me.
    Mi scappa una smorfia: - Lo sapevo che c’era la truffa.
    Ghigna: - Nessuna truffa, allievo. Devi solo morire.
    Torno in piedi sospirando: - Me l’hanno detto.

    In fila, riceviamo uno ad uno la SRCM nella destra. Al comando corriamo avanti, lo sten controlla che sia impugnata correttamente. Poi, strappata la linguetta, si lancia con traiettoria a parabola. In questo modo la cuffia, qui chiamata paracadutino, si stacca e attiva la bomba. Che, giungendo a terra, per l’impatto esploderebbe. Se fosse carica. Subito dopo, via in fondo alla coda. Con le Balilla inerti tutto scorre rapido e regolare. Riformata la fila, alcune dita stringono tremanti il cilindretto bordato da una striscia azzurra. Carica depotenziata, da esercitazione. Lucchesi trotterella verso i sacchetti di sabbia. Lo sten, rapida occhiata, ordina di lanciare. Il ministeriale afferra la linguetta coi denti, non riesce a staccarla.
    - Può usare la mano, morfina.
    Il ministeriale tira, la linguetta sfugge alla presa. Sotto lo sguardo infuriato dello sten, riprova col massimo della forza. La striscetta metallica viene via. Ma per il contraccolpo la destra schizza indietro, liberando inopinatamente la cuffietta. A questo punto, la SRCM è innescata, pronta a scoppiare al primo urto. La mano comincia a tremare.
    - Allievo, nessun problema. Ora s’abbassi lentamente, deponga la bomba a terra, e s’allontani.
    Lucchesi scuote la testa, urla, getta via la bomba. Indietro.
    - A TERRAAA!!!

    Il tempo rallenta. Come alla moviola, osservo la traiettoria del cilindretto rosso, mentre tutti si gettano giù.
    La Balilla esplode col botto d’un raudo, s’alza una piccola colonna di fumo.
    Poi tutto ricomincia a correre.
    Echeggia una bestemmia. Accanto a Lucchesi inginocchiato, lo sten furibondo: - Allievo, strisciare!
    Il ministeriale, sconvolto, non capisce. Una pedata e finisce disteso.
    - Allievo, passo del verme!
    Lucchesi arranca ventre a terra, incoraggiato dagli stivaletti dell’ufficiale: - Rincoglionito! Vigliacco! Grandissimo pezzo di *****!!
    Caricato su un’AR, viene portato via. Mi scappa una ghignata: - Addio, Lucchesi Lucaxxo
    Lo sten punta il dito: - Gagliardi, perché non s’è riparato?
    - Comandi. Non ho paura di una bomba finta.
    - Stia punito!
    A me casca la mascella, Morabito urla di riformare la fila. Sono il primo, ricevo la SRCM, scatto avanti. Destra alta, guardo lo sten in silenzio. Ma il mio pensiero gli giunge forte e chiaro.
    - A un ordine si obbedisce sempre, allievo. Lanciare!
    Strappo la linguetta coi denti, getto la bomba, guadagno il fondo della coda, furioso e bestemmiante. Pochi minuti e arriva l’ordine di formare nuovamente la fila.
    - Queste hanno carica da guerra. Vediamo di non fare cazzate!
    Stavolta il botto si sente eccome. Morabito mi dà la Balilla con righetta gialla e mezz’etto di esplosivo. Lo sten controlla con un’occhiata: - Lanciare.
    Eseguo, parabola alta, il paracadutino si stacca. La bomba tocca terra, esplode con un bel rumore forte. Rimango sull’attenti, testa alta ed occhi aperti. Lo sten fa segno di andare, io urlo: - Comandi. Questa era una bomba - E schizzo via.
    Tornato in fila, Dalmasso bisbiglia ammirato: - Lo sten ha detto che darebbe un braccio per un giorno di guerra.
    Mormoro: - Magari lo invito a Beirut per una settimana, così se li taglia tutt’e due. Insieme a un po’ di lingua.
    Ultima modifica di gagliardi; 27-04-20 alle 21: 44
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  10. #40
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    Giri e giri nel cortile di Compagnia, file perfette, conversioni ordinate. Talloniamo violentemente, la cadenza rimbomba, l’urlo fa tremar gli infissi. Restiamo inquadrati a marciare sul posto. Viene dato l’alt e il riposo. Portiamo il FAL, bandoliera sulla spalla sinistra, fucile sul fianco destro, le dita stringono il bipiede. S’apre la porta, esce il capitano. Lo sten sbraita: - ‘Mpagnia, AT-TI!
    Scatta la gamba sinistra, il Vibram percuote la terra, c’irrigidiamo.
    - Presentat-arm!
    I palmi sbattono sul legno del FAL, movimenti coordinati e secchi, il grido: - FOLGORE! - sale potente verso il cielo azzurro. Mi godo attimi di estatica massiccità.
    Gli occhi dell’ufficiale scintillano: - Allievi, chi siete voi?
    - FOLGORE!
    - Voi siete eredi degli eroi di El Alamein. Onore, coraggio e sacrificio sono la vostra eredità. Continuate la tradizione, e siatene degni. Allievi, chi siete voi?
    - FOLGORE!
    - Voi siete i più fieri, i più forti, i più bei soldati del nostro esercito. Siete la migliore gioventù d’Italia, e l’orgoglio della Nazione. Non dimenticatelo mai. Allievi, chi siete voi?
    - FOLGOREE!!
    Il cuore batte forte per la violenta gioia di quel momento. Mi guardo intorno, tutti sorridono felici. Anche Feffe, che s’è comportato molto massicciamente. A parte il fatto che ha gridato Forgore. Maledetti pissani.

    In camerata vorrei scrivere a Sophie, ma non riesco a concentrarmi. Compare Feffe, aria afflitta. Metto via il foglio: - Punito?
    Scuote la testa.
    - Servizio?
    Di nuovo fa cenno di no.
    - Allora caxxo fai in caserma?
    - I miei son via, e la palestra gliè chiusa.
    - La tua ragazza?
    - C’ha da studià.
    - Vabbuò, domenica è capodanno, festeggiate.
    - Negativo.
    Lo guardo stupito: - Parli come un parà.
    Ridacchia: - Gliè strano, vero?
    Allo spaccio scambio quattro chiacchiere con Rebussi, che sta andando in ordinaria. Mi saluta con una raffica di stecche: - Per quando torno, preparami il congedo, allievo.
    Intanto lo spaccista di Pontedera dialoga aspiratamente con Feffe. Sediamo, il butese beve in silenzio, aria cupa. Mi fa strano vederlo così, verso da bere a entrambi, alzo il bicchiere: - Al prossimo capodanno, che festeggeremo liberi dove stracaxxo ci pare e piace a noi!
    A Feffe torna il sorriso.
    Vedo transitare Pozzi in ginnica: - Vado in palestra, vieni anche tu?
    - Posso portare il qui presente allievo?
    Sul viso di Pozzi si disegna una smorfia.
    - Facciamo la stessa boxe, lui m’ha invitato nella sua palestra. È piuttosto bravo.
    Sventola l’indice: - Solo braccia!
    Sorrido: - Naturalmente.

    Aperta la porta, aria calda, sudore e olio canforato mi strappano il solito sorriso. Noto che il profumo ha lo stesso effetto sul mio amico. Il Terribile è sotto il ring, fa segno di andarsi a cambiare. Usciti dallo spogliatoio, dopo un po’ di riscaldamento e sacco, il maresciallo chiama Feffe: - Vediamo che sai fare.
    Comincia con Max. A fine ripresa, il maresciallo ringhia: - Resta lì.
    Uno alla volta, si alternano sul ring tutti i pugili della palestra. Infine, il Terribile sogghigna: - Mai pensato di entrare nel gruppo sportivo?
    - Boia!
    - Ne riparliamo. Va’ a cambiarti.

    Tornando in Compagnia, Feffe saltella per la contentezza: - Te siei ner gruppo sportivo?
    - Negativo.
    - Ma gliè ganzo ‘vì!
    - Io vado a Siena.
    - Tu siei matto…
    - Per fare il parà bisogna esser matti, no?
    - ‘Npopoìno. A me mi garba rimanè a Pisa.
    - Per forza, ci abiti.
    - Noo, io sono di Buti!
    - Vabbuò, pisano, butano, sempre a casa stai. Non hai voglia di andartene a vedere il mondo?
    - Ora ‘un posso.
    - Perché?
    - Sofia.
    Sentendo quel nome, per un attimo mi manca il fiato: - La tua ragazza?
    Annuisce: - Se mi mandan via, gliè finita.

    In camerata chiacchiero distrattamente con Sanna e Basile. Mettendomi in Verde, rimugino. È vero, potrei trascorrere un anno fantastico con persone che stimo e rispetto. Fare una marea di lanci, sparare a volontà, allenarmi di boxe e Muay-Thai. E d’estate, il mare. Mi scappa una smorfia, non è che, tomo tomo cacchio cacchio, sto cercando di imboscarmi pure io?
    Vedo Feffe sulla branda, schiena poggiata al cubo e testa fra le mani: - Che ti piglia?
    Resta immobile, tono sconsolato: - Domani di guardia.
    Sghignazzo: - Morire, allievo.
    Scuote la testa, costernato: - Passavo la notte da Sofia.
    - E come?
    - In fureria gliè uno di San Giuliano, potevo sartà ir contrappello.
    Nel silenzio, ascolto sorpreso le mie stesse parole: - Vabbuò, magari ti sostituisco io.
    Alza gli occhi, incredulo: - Davvero?
    - I fucili carichi mi sfiziano assai.

    Il turno di piantone sta finendo, cessi sorvegliati e lindi. Prendo dal portafogli la foto, è un po’ sgualcita. Il tempo libero scarseggia, quasi mi sento in colpa di dedicarne tanto poco a Sophie. Chissà cosa starà facendo ora, probabilmente dorme. O forse no. Mi vengono tanti pensieri, che non so controllare. Il turbine dopo un po’ si placa, e torna in fondo all’anima. Adda passà ‘a nuttata.
    Ultima modifica di gagliardi; 28-04-20 alle 20: 08
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