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Discussione: Sigonella (racconto autobiografico)

  1. #1

    Predefinito Sigonella (racconto autobiografico)

    Il racconto di genere autobiografico (forse con qualche piccola imprecisione dovuto al fatto che è passato tanto tempo) tratta l'indimenticabile esperienza militare fatta nel 2005 a Sigonella in ambito "Operazione Domino" dalla durata di tre mesi e dal quale ne ho ricavato un'enorme gratificazione personale.
    Nomi di persone sono stati debitamente modificati.

    ***


    Nell'inverno del 2005 da circa quattro mesi prestavo servizio militare in qualità di fante dell'Esercito in ferma annuale (VFA) alla Crisafulli-Zuccarello di Messina, in attesa di concorrere in ferma prefissata. (VFP1)
    In quel periodo fummo impiegati nell'Operazione Domino, un'operazione di sostegno alla Pubblica Sicurezza nel contrasto alla criminalità.
    Oltre a ciò, a causa degli attentati di Nassiriya del 2003, i livelli di allerta risultavano elevati, ragion per cui fummo dislocati in quattro diverse località considerate a rischio di attacchi terroristici.
    Chi andò a presidiare la Raffineria di Milazzo, chi l'Aeroporto di Reggio di Calabria, chi l'Aeroporto Catania-Fontanarossa e chi invece la base aerea italiana/americana di Sigonella, un'enorme struttura militare situata sempre nel catanese e assai distante dai centri abitati. Il sottoscritto venne destinato a quest'ultimo sito.
    Inizialmente stavo per lamentarmi con i superiori in quanto avrei voluto lavorare a Milazzo, (la mia città natale si trova a 8 km) tuttavia, lasciai perdere.
    Fondamentalmente una moltitudine dei miei colleghi, in virtù di raccomandazioni, andarono smistati vicino casa, alloggiando in comodi hotel, mentre le nostre squadre furono ospitate dalla caserma del 41° Stormo di Sigonella, e ci dovemmo adeguare a delle stanzacce dai muri scrostati, con gli armadietti sgangherati che odoravano di ruggine e con dei letti putridi.
    In aggiunta, impossibile descrivere l'indecenza dei luridi bagni, ad aggravare la malagevolezza un certo numero di gabinetti guasti e l’acqua calda delle docce o dei rubinetti che veniva a intermittenza.
    Desideroso di fare carriera, mi rassegnai e pensai che determinati calici amari andavano bevuti fino in fondo, in compenso a mensa i pasti erano buoni.
    La caserma dell'Aeronautica era un via vai di personale connazionale e non solo, difatti si poteva accedere sia nella parte italiana e sia in quella statunitense (grossomodo attaccate). con l'unica raccomandazione di non comprare cibo, accessori o articoli nei negozi U.S.A., visto che i commercianti o chi gestiva gli spacci statunitensi non potevano vendere nulla ai militi italiani, tranne agli ufficiali, ai sottoufficiali e a coloro che avevano buone conoscenze.
    Il perché di tale divieto?
    In primis si pagava in dollari, (problema facilmente risolvibile grazie ai numerosi bancomat presenti) inoltre i prezzi dei prodotti risultando piuttosto bassi, (sigarette, radio, profumi, cellulari etc.) certi furbacchioni acquistavano a Sigonella per rivendere al doppio se non al triplo all'esterno della base.
    Il 41° Stormo di Sigonella, a differenza del Naval Air Station Sigonella, disponeva di un unico spaccio discretamente fornito. C'erano delle bibite, dei sacchetti di patatine, dei gelati confezionati e la sera facevano pure le pizze, sebbene surgelate e cotte al microonde.
    In compenso di mattina la scelta appariva più variegata, con teche di dolci e pezzi di tavola calda, tanto è vero che contribuivano ad affollare il locale anche tantissimi soldati statunitensi. A tal proposito, mi domandavo come mai gli yankee, pur avendo ogni ben di Dio nei loro bar/empori, preferissero fare colazione proprio lì.
    Lo chiesi ad un graduato americano di nome Joe, con il quale strinsi amicizia, un ragazzotto biondo proveniente da Fort Lauderdale, Florida.
    «Voi avete corneto, capucinno e caffè italianno!» mi rispose.
    Ritenevo Joe un tipo simpatico, ogni qualvolta parlava in inglese, o in quel suo italiano stentato, quasi sempre terminava le frasi con un "*******!" e ciò mi faceva sorridere.
    Ad ogni modo furono diramati i turni da otto ore in quattro gruppi da tre soldati. Per la precisione bisognava effettuare tre mattine, tre pomeriggi, e tre notti. Al termine delle nove turnazioni ci venivano concessi tre giorni liberi con la possibilità di spenderli come meglio credevamo. Chi abitava nel catanese, nel messinese, e nel siracusano di norma preferiva tornare a casa.
    Nel mio caso non tornai neanche una volta nella mia città, dal momento che era scomodissimo scendere con l'autobus a Catania, andare alla stazione, e prendere due treni per arrivare a Barcellona Pozzo Di Gotto, per non parlare di quanto fosse problematico il ritorno a Sigonella.
    Dato che non avevo ancora conseguito la patente, per ovvi motivi non potevo guidare il VM 90, un mezzo a metà fra l'autocarro tattico e il fuoristrada.
    Mi fu così assegnato l'incarico di capo macchina ed avevo la responsabilità di segnalare all'equipaggio o via radio eventuali movimenti sospetti durante il percorso e di controllare la condotta di guida del conducente.
    L'equipaggiamento in dotazione era composto da un gibernaggio, una torcia, un giubbotto antiproiettile, uno zaino tattico, un elmetto (mai indossato dal momento che tenevamo perennemente il basco in testa) e l'arma individuale, precisamente un Ar 70/90 con due caricatori di riserva.
    Ci volle del tempo per abituarmi a quei turni abbastanza tediosi e monotoni. Il capo muta e i comandanti ci stavano col fiato sul collo, tant'è che spuntavano a sorpresa a controllare il nostro operato. Guai se ci trovavano sbragati, non rasati, con gli anfibi sporchi, il fucile con la cinta non slacciata e guai serissimi se ci pescavano imboscati a oziare o a dormire. Il servizio avveniva o con il mezzo in movimento tra i vari checkpoint oppure stando fermi per qualche ora con l'arma a tracolla all'esterno di Sigonella ai lati del VM 90.
    Essendo inverno, pur avendo un pesante maglione sotto la divisa, io e i miei colleghi patimmo un freddo terribile, specie durante i turni notturni. Alcuni presero febbroni da cavallo e passarono la convalescenza all'ospedale militare.


    L'Operazione Domino, a mio avviso, aveva un non so che di paradossale, trovavo strano che noi soldati facessimo la guardia armata ad altri soldati in un posto del genere.
    In primo luogo i militari statunitensi apparivano efficienti e attrezzatissimi, dall'armamentario ai mezzi. Da segnalare che dalla recinzione del Naval Air Station Sigonella non di rado li vedevamo addestrarsi in maniera professionale, con armi da lancio, arti marziali, capriole etc.
    Oltretutto, la base veniva sorvegliata con attenzione anche dalle pattuglie della polizia militare con le loro accattivanti automobili di colore bianco dalle sirene blu e rosse simili a quelle della NYPD. (New York City Police Department)
    Gli uomini e le donne dell’MP (Military Police Corps) indossavano la classica mimetica verde, armati di pistola, manganello e manette. Francamente sembrava che se la tirassero.
    In seguito scoprimmo che i "poliziotti" tenevano d’occhio persino le nostre stesse mute e gli avieri del 41° Stormo, peraltro con l’incombenza di non far circolare più del dovuto i civili non autorizzati e all'occorrenza fermare possibili sospetti chiedendo l’ausilio dei carabinieri.
    In quei tre mesi, non successe niente di particolarmente eclatante, i giorni passavano lenti e non c'era un granché da fare. Complice il poco riscaldamento dormivamo al calduccio ore ed ore nei letti delle camerate ché, grazie a Dio, i cuscini, le coperte e le lenzuola ci venivano spesso sostituite con quelle pulite dopo aver sollecitato il disagio a chi di dovere. I bagni purtroppo rimasero immondi e con i soliti malfunzionamenti.
    Ci sembrava inutile girovagare la Naval Air Station Sigonella, visto e considerato che non potevamo acquistare nulla. Scendere a Catania per la libera uscita non conveniva, dato che gli autobus raramente rispettavano gli orari, e si finiva consegnati se non tornavamo alla base entro le 23:00.
    Essere puniti consisteva in non poter lasciare la caserma. Alla fin fine cosa cambiava? È presto detto: i provvedimenti venivano trascritti nelle documentazioni personali e ciò non avrebbe giovato alle note caratteristiche.
    Se non dormivamo ci mettevamo a giocare a carte, a farci degli scherzi, a cazzeggiare con i cellulari, a confrontarci, a confortarci qualora sentissimo malinconia o nostalgia, a leggere romanzi, fumetti e riviste. A tal proposito ho un ammiccante aneddoto che vorrei raccontare.
    In un noioso pomeriggio di pioggia, mentre mi stavo cimentando a leggere Nato per uccidere, un libro di guerra ambientato in Vietnam, all'improvviso un certo Costa mi lanciò addosso un fotoromanzo pornografico colpendomi il viso.
    «Fatti gli occhi compare! Te lo presto ma non me lo sgualcire. Sto andando in bagno. Eh, la voglia chiama ancora!» mi disse ridendo.
    Tornò dopo un quarto d’ora visibilmente esausto e si lasciò cadere a peso morto sul letto in posizione fetale. Chiaramente si era sfogato alla grande. Accantonai il romanzo poiché avevo trovato qualcosa di più interessante e soprattutto più eccitante.
    I tre mesi in qualche modo passarono, finché una mattina gli ufficiali ci annunciarono finalmente il ritorno a Messina, con l’aggiunta di una bella notizia, cioè il beneficio di una graditissima licenza della durata di 14 giorni. Inutile dire la felicità che albergava dentro di noi, quelle dodici settimane di Operazione Domino ci vennero letteralmente ripagate.
    Tornammo alla Crisafulli-Zuccarello in tarda serata, dapprima ci fu la consegna dell’equipaggiamento in armeria, per poi avviarci alle nostre camerate e, una volta sistemati gli effetti personali nei rispettivi armadietti o nei relativi borsoni, andammo nelle brande pieni di allegria.
    Il giorno seguente, nel piazzale, durante l’alzabandiera cantammo a squarciagola l’Inno d'Italia, successivamente ci furono i complimenti da parte del Comandante di Reggimento, che ritenne globalmente soddisfacente il supporto prestato alle Autorità di Pubblica Sicurezza e, al contempo, rimproverò aspramente senza fare nomi, coloro che si erano macchiati di imperdonabili scorrettezze.
    Gli elementi in questione non appartenevano alla nostre mute ma bensì alla Compagnia Mortai in servizio alla Raffineria di Milazzo. Quali furono le conseguenze per quelle teste di cavolo non lo venni mai a sapere.
    Appena giunti in Compagnia Fucilieri, ci adunammo nel cortile, il nostro capitano rinnovò i convenevoli e incaricò un giovane tenente di origine napoletana di assegnarci le licenze, chiudendo un occhio con quelli che avevano ricevuto alcune punizioni non gravi, chiamate per l'esattezza "consegne semplici", nel corso dell’Operazione Domino.
    Per il ritiro della licenza dovevamo eseguire la solita modalità standard, ovverosia, una volta che veniva chiamato il nome e cognome dell’interessato, dalla posizione di riposo ci si metteva sugli attenti sbattendo il tallone destro, dicendo ‘comandi’, alzando e abbassando velocemente il braccio destro, si effettuava un dietro-front, e ci si staccava dalla riga/fila per andare a passo veloce dinnanzi l'ufficiale o sottufficiale, sbattendo nuovamente il medesimo calcagno accompagnato dal saluto militare. Ricevuto il foglio si ritornava al proprio posto in attesa del ‘rompete le righe’.
    Passò una buona mezz'ora e le licenze furono consegnate a tutti, tranne al sottoscritto.
    L’inquietudine si impadronì di me ed essendo tra le prime file guardai il tenente Palma con aria perplessa chiedendogli con umiltà delle spiegazioni.
    «Soldato!» mi disse. «Sei a rapporto dal capitano Mottola, entra nel suo ufficio che ti deve parlare.»
    Confesso che l'ansia crebbe a dismisura, bruciandomi lo stomaco.
    «Perché non mi hanno consegnato la licenza? Vuoi vedere che dovrò svolgere un servizio alla porta carraia!» ipotizzai decisamente scazzato ma, se così fosse stato, l’avrei saputo dai furieri e non dal comandante.
    Bussai alla porta del Comandante di Compagnia, una voce tuonò "Avanti!" e, col cuore in gola, entrai nell'ufficio.
    Il capitano se ne stava tranquillamente seduto a una scrivania ingombra di carte a fumarsi un sigaro, ed andai nella sua direzione, sbattendo dapprima il tacco e unendo le mani a paletta sugli attenti.
    «Comandi! Sono stato messo a rapporto da lei!» esordii con espressione insicura.
    «Stai su riposo!» mi ordinò, ed io obbedii.
    L'ufficiale, dando brevi boccate al sigaro, mi guardò intensamente per alcuni secondi ed infine appoggiò il cubano ancora acceso sul posacenere.
    «Stai sereno, non ti mangio mica!»
    Presi un respiro profondo, cercando di rilassare i muscoli tesi, e poi espirai.
    «Aspettavi la licenza, eh?» ironizzò.
    Non sapendo come rispondere, scrollai educatamente le spalle.
    «Ebbene, caro mio, ti ho convocato per un motivo ben preciso...»
    Si interruppe di colpo per soffiare via della cenere del sigaro che si era andata a depositare su delle scartoffie, mentre la mia impazienza cresceva.
    «Abbiamo gradito in particolar modo il tuo ottimo operato.»
    Quella frase mi aveva piacevolmente spiazzato tant'è vero che restai a bocca aperta.
    «Tra l'altro sei l’unico a non aver collezionato neanche una consegna e non hai nemmeno piagnucolato per la destinazione. Figurati che, giorni prima dell'Operazione Domino, parecchia gente mi rompeva continuamente le palle per essere piazzata nelle località che meglio conveniva a loro» aggiunse.
    «Capitano, vede... ho soltanto.....» farfugliai non riuscendo a trovare le parole giuste.
    «Hai fatto più del tuo dovere ed è per questo che ci tenevo a darti personalmente la licenza» espose, e da un cassetto della scrivania prese l'attesissimo foglio di carta, timbrato e firmato sia dal Comandante di Battaglione, sia dal Comandante di Reggimento e sia da lui stesso.
    Quest’ultimo si alzò in piedi, nonostante le bellissime parole, mi sentii piccolo piccolo davanti a quell'uomo alto e dall'aspetto formale. Non riuscivo proprio a crederci.
    Mi consegnò l’agognato documento e mi volle stringere la mano, una stretta fortissima e vigorosa.
    «Molto bene, soldato, davvero molto bene. Ogni tanto mi stupisco anch'io in questa caserma del *****!» concluse facendomi cenno che potevo andare.
    Lo ringraziai mettendomi sull'attenti e dopo un passo indietro, eseguii un dietro-front uscendo dalla stanza del Comandante di Compagnia.
    I miei occhi diventarono lucidi all'istante, una pienezza interiore difficile da descrivere.
    Nel cortile mi aspettavano due miei colleghi impiccioni per sapere cosa fosse successo. Non avvertii la necessità di spartire le parole lodevoli espresse dal capitano Mottola, infatti, misi in pratica un aforisma di mia creazione:
    È controproducente condividere le cose con altri, più te le tieni per te, più diventano preziose!
    Mi limitai a dire che mi avevano aggiornato sul prossimo trasferimento in Compagnia Controcarri, una comunicazione tra l'altro vera in base alle disposizioni che mi furono segnalate all'inizio dell'Operazione Domino e che la licenza era stata dimenticata nell'ufficio del capitano.
    Tornai in camerata e, anziché preparare i bagagli per tornare a casa, mi sedetti sopra una branda qualsiasi per godermi in santa pace l’enorme gratificazione ricevuta.
    Non mi ritenevo ambizioso e affamato di vanagloria ma che provavo a fare del mio meglio con grinta non posso che confermarlo. Da quel giorno in poi cominciai a credere in me stesso.

  2. #2

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    Complimenti è un bel racconto e sei di ispirazione. Poi alla fine la carriera l'hai fatta?

  3. #3

    Predefinito

    Citazione Originariamente Scritto da MikeVictor Visualizza Messaggio
    Complimenti è un bel racconto e sei di ispirazione. Poi alla fine la carriera l'hai fatta?

    MikeVictor grazie che hai letto il mio racconto autobiografico, sono molto legato a "Sigonella" sia come testo, (scritto nel 2017) come luogo e come periodo.
    Purtroppo no. Dopo VFA e VFP1 mi congedai a causa della mia ex di allora. Fui costretto a scegliere: o l'esercito o lei.
    Scelsi male. Dopo nove anni di tediosa relazione ci siamo lasciati.
    Adesso sono O.S.S. in una Casa di Cura, aspiro di poter lavorare un giorno in un ospedale.

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