La sagra delle banalizzazioni e Delle bufale...
"Quelli che ci troviamo qui,in perfetto stato di salute,con telefonini (in alcuni casi persino satellitari) e con i sorrisi stampati in faccia mentre ti elencano i LORO DIRITTI, non sono i disperati in lotta per la vita,ma sono parassiti che non hanno voglia di lavorare e pensano di farsi mantenere."
Queste frasi mi spiace dirtelo ma fanno semplicemente schifo... Trasudano un disprezzo e una mancanza di rispetto che sinceramente faccio fatica a capire soprattutto perché basati fondamentalmemte su fandonie... E non è né un offesa né flame anzi ho letto molto tuoi interventi su svariati argomenti (Siria, Servizi, Iran, Nato, Russia) dove si notava un enorme lucidità nelle ricostruzioni che davi ma soprattutto COMPETENZA e proprio per questo a leggere da te certe cose degne del peggior sito Facebook bufalaro scritte su questo forum poi... Mi sembra strano. Comunque ora andando per ordine cercherò di ricostruire quello che è il viaggio che fanno la maggior parte dei migranti che arrivano qui e del perché.
La maggior parte dei migranti arrivati in Italia come noi tutti sappiamo proviene dall’Africa subsahariana e ha alle spalle un lungo viaggio attraverso l’Africa, di cui la traversata è solo l’ultima tappa. Il 13 settembre a Roma l’organizzazione Medici per i diritti umani (Medu) ha presentato una mappa interattiva, che vi lascio linkata realizzata sulla base delle testimonianze di mille migranti arrivati in Italia dall’Africa negli ultimi tre anni. http://esodi.mediciperidirittiumani.org
La rotta principale percorsa dai migranti dall’Africa occidentale passa attraverso il Niger e la Libia per poi arrivare in Italia attraverso il Canale di Sicilia (rotta occidentale-est). Dal Senegal, Gambia, Guinea e Costa d’Avorio i migranti si spostano prima a Bamako, in Mali, per poi passare da Ouagadougou in Burkina Faso e raggiungere il Niger. Una via alternativa passa da Bamako a Gao, in Mali, per poi arrivare a Niamey, in Niger.
Molti nigeriani raggiungono il Niger attraverso Kano. Alcuni migranti provenienti dal Camerun hanno raccontato di aver attraversato il Ciad per raggiungere Madama in Niger e proseguire fino in Libia. Da Agadez a Sabah comincia un tratto di rotta nel deserto chiamato “la strada verso l’inferno”, che tutti i migranti sono costretti ad affrontare per raggiungere la Libia. La durata media del viaggio dal paese di origine è di venti mesi. Il tempo medio di permanenza in Libia è di 14 mesi.
La principale rotta dal Corno d’Africa passa attraverso il Sudan e la Libia per raggiungere l’Italia attraverso il canale di Sicilia (Rotta orientale-centro). Dopo aver attraversato il confine tra Eritrea e Sudan, che è molto pericoloso, la maggior parte dei migranti raggiunge Kassala o il campo profughi di Shagrab in Sudan oppure il campo di Mai Aini in Etiopia. Una volta raggiunta Khartoum, i migranti attraversano il deserto verso la Libia con i pick-up. Un percorso alternativo e più breve attraverso il deserto parte dalla città di Dongola a nord di Khartoum.
Generalmente, un primo pick-up lascia i migranti al confine con la Libia, per poi tornare indietro verso Khartoum. I migranti vengono quindi fatti salire su un altro pick-up gestito dai trafficanti libici. Il costo del viaggio dal Sudan fino alla Libia varia da 1000 a 1500 dollari (NON 15.000) La maggior parte dei migranti raggiunge poi Agedabia situata in Cirenaica, a pochi chilometri dalla costa mediterranea. Dal nord della Libia i migranti cercano di raggiungere la costa a Bengasi (nel nordest) oppure a Zuwara e Sabratha (a ovest di Tripoli e più vicine alla Sicilia) per poi imbarcarsi.
La durata media del viaggio dal paese di origine è di 15 mesi. Il tempo medio di permanenza in Libia per i migranti del Corno d’Africa (la maggior parte ERITREI e quindi quasi sempre PROFUGHI) è di tre mesi. L’Etiopia e il Sudan sono i paesi dove i migranti eritrei rimangono più a lungo. Le tratte sono gestite da intermediari e trafficanti. La somme pagate dai migranti per affrontare queste rotte, in genere più alte dal Corno d’Africa, possono variare. In Libia, Niger e Sudan i migranti rischiano di essere sequestrati e messi in carcere.
Nonostante Ippogrifo dica il contrario i traumi estremi come la tortura e le violenze sono un’esperienza comune durante il viaggio. Più del 90 per cento dei migranti intervistati ha raccontato di essere stato vittima di violenza, di tortura e di trattamenti inumani e degradanti nel paese di origine e lungo la rotta migratoria, in particolare in luoghi di detenzione e sequestro in Libia.
La privazione di cibo e acqua, le pessime condizioni igieniche sanitarie, le frequenti percosse e altri tipi di traumi sono le forme più comuni e generalizzate di maltrattamenti. Ci sono altre forme di tortura più specifiche sia fisiche sia psicologiche a cui sono sottoposti i migranti. Nove migranti su dieci hanno dichiarato di aver visto qualcuno morire, essere ucciso, torturato o picchiato.
Nei centri di accoglienza in Sicilia (Mineo, Ragusa), l’82 per cento dei richiedenti asilo seguiti da Medu e CRI (anche da volontari che conosco personalmente) (162 pazienti) presentava ancora segni fisici compatibili con le violenze raccontate. Tra i disturbi psichici più frequenti registrati dai medici e dagli psicologi di Medu: il disturbo da stress post traumatico (ptsd) e altri disturbi legati a eventi traumatici, ma anche da disturbi depressivi, somatizzazioni legate al trauma, disturbi d’ansia e del sonno. Quando Shiva, una bambina di dieci anni proveniente dalla Liberia, disegna il mare, lo colora sempre di nero, perché per lei, sopravvissuta a un naufragio per raggiungere l’Europa, il Mediterraneo rappresenta il dolore. Spesso questi disturbi nonostante i volontari e gli operatori si facciano in quattro ricevono meno attenzione delle malattie fisiche, sono ignorati o diagnosticati in ritardo. Questo, oltre a comportare un peggioramento e una cronicizzazione del quadro clinico, provoca gravi difficoltà al percorso di integrazione dei migranti nei paesi di asilo.
I racconti sono stati raccolti dagli operatori e dai volontari dell’organizzazione in diversi centri di accoglienza, in particolare in Sicilia, ma anche a Roma nei luoghi informali di accoglienza e presso il centro Psychè per la riabilitazione delle vittime di tortura, o a Ventimiglia e in Egitto. Tra i migranti provenienti dal Corno d’Africa, e in particolare dall’Eritrea, il motivo principale della fuga è il servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato, un sistema paragonabile ai lavori forzati. I fattori che spingono alla migrazione dai paesi dell’Africa subsahariana occidentale sono più eterogenei: tra le persone intervistate la prima causa è la persecuzione politica, mentre le motivazioni economiche sono alla base del viaggio per il 10 per cento dei migranti.
Ora ci tenevo a rispondere anche per quanto riguarda le risorse che a quanto pare "paghiamo".
Vorreste farmi credere secondo quello che ormai è un cliché che capovolge la realtà: che sono i «paesi ricchi» che sarebbero costretti a subire la crescente pressione migratoria dai «paesi poveri». Ma questo chi conosce un minimo la situazione sa che è assolutamente FALSO.
Si nasconde la causa di fondo: il sistema economico che nel mondo permette a una ristretta minoranza di accumulare ricchezza a spese della crescente maggioranza, impoverendola e provocando così l’emigrazione forzata. Riguardo ai flussi migratori verso gli Stati uniti, è attualissimo ed emblematico il caso del Messico che accennerò per poi arrivare alla nostra situazione.
La sua produzione agricola è crollata quando, con il Nafta (l’accordo nordamericano di «libero» commercio), Usa e Canada hanno inondato il mercato messicano con prodotti agricoli a basso prezzo grazie alle proprie sovvenzioni statali.
Milioni di contadini sono rimasti senza lavoro, ingrossando il bacino di manodopera reclutata nelle maquiladoras: migliaia di stabilimenti industriali lungo la linea di confine in territorio messicano, posseduti o controllati per lo più da società statunitensi, nei quali i salari sono molto bassi e i diritti sindacali inesistenti.
In un paese in cui circa la metà della popolazione vive in povertà, è aumentata la massa di coloro che cercano di entrare negli Stati uniti. Da qui il Muro lungo il confine col Messico, iniziato dal presidente democratico Bill Clinton quando nel 1994 è entrato in vigore il Nafta, proseguito dal repubblicano George W. Bush, rafforzato dal democratico Obama, lo stesso che il repubblicano Trump vorrebbe ora completare su tutti i 3000 km di confine.
Arriviamo ai flussi migratori verso l’Europa, e parliamo dell’Africa. Essa è ricchissima di materie prime: oro, platino, diamanti, uranio, coltan, rame, petrolio, gas naturale, legname pregiato, cacao, caffè e molte altre ma soprattutto di biocombustibili di cui parlarò dopo. Queste risorse, sfruttate dal vecchio colonialismo europeo con metodi di tipo schiavistico, vengono oggi sfruttate dal neocolonialismo europeo facendo leva su élite africane al potere, manodopera locale a basso costo e controllo dei mercati interni e internazionali. Oltre cento compagnie quotate alla Borsa di Londra, britanniche e altre, sfruttano in 37 paesi dell’Africa subsahariana risorse minerarie del valore di oltre 1000 miliardi di dollari.
La Francia controlla il sistema monetario di 14 ex colonie africane attraverso il Franco CFA (in origine acronimo di «Colonie Francesi d’Africa», riciclato in «Comunità Finanziaria Africana»): per mantenere la parità con l’euro, i 14 paesi africani devono versare al Tesoro francese metà delle loro riserve valutarie.
Lo Stato libico, che voleva creare una moneta africana autonoma, è stato demolito con la guerra nel 2011. In Costa d’Avorio (area CFA), società francesi controllano il grosso della commercializzazione del cacao, di cui il paese è primo produttore mondiale: ai piccoli coltivatori resta appena il 5% del valore del prodotto finale, tanto che la maggior parte vive in povertà. Questi sono solo alcuni esempi dello sfruttamento neocoloniale del continente. L’Africa, presentata come dipendente dall’aiuto estero, fornisce all’estero un pagamento netto annuo di circa 58 miliardi di dollari. Le conseguenze sociali sono devastanti.
E l'Italia? Per introdurre il discorso iniziamo a parlare degli etiopi che arrivano a Lampedusa, quelli che Salvini considera disgraziati di serie B, non accreditabili come rifugiati, giungono dalla bassa valle dell’Omo, l’area oggetto di un piano di sfruttamento intensivo da parte di capitali stranieri che ha determinato l’evacuazione di circa duecentomila indigeni. E tra i capitali stranieri molta moneta, circa duecento milioni di euro, è di Roma. Il governo autoritario etiope, che rastrella e deporta, è l’interlocutore privilegiato della nostra diplomazia che sostiene e finanzia piani pluriennali di sviluppo. Anche qui la domanda: sviluppo per chi?
L’Italia intera conta 31 milioni di ettari. La Banca mondiale ha stimato, ma il dato è fermo al 2009, che nel mondo sono stati acquistati o affittati per un periodo che va dai venti ai 99 anni 46 milioni di ettari, due terzi dei quali nell’Africa subsahariana. In Africa i titoli di proprietà non esistono (la percentuale degli atti certi rogitati varia dal 2 al 10 per cento). Si vende a corpo e si vende con tutto dentro. Vende anche chi non è proprietario. Meglio: vende il governo a nome di tutti. Case, villaggi, pascoli, acqua se c’è. Il costo? Dai due ai dieci dollari ad ettaro, quanto due chili d’uva e uno di melanzane al mercato del Trionfale a Roma. Sono state esaminate 464 acquisizioni, ma sono state ritenute certe le estensioni dei terreni solo in 203 casi. Chi acquista è il “grabbatore”, chi vende è il “grabbato”. La definizione deriva dal fenomeno, che negli ultimi vent’anni ha assunto proporzioni note e purtroppo gigantesche e negli ultimi cinque una progressione pari al mille per cento secondo Oxfam, il network internazionale indipendente che combatte la povertà e l’ingiustizia. Il fenomeno si chiama land grabbing e significa appunto accaparramento della terra.
I Paesi ricchi tra cui anche l'Italia chiedono cibo e biocombustibili ai paesi poveri. In cambio di una mancia comprano ogni cosa. Montagne e colline, pianure, laghi e città. Sono circa cinquanta i Paesi venditori, una dozzina i Paesi compratori, un migliaio i capitali privati (fondi di investimento, di pensione, di rischio) che fanno affari. E’ più facile trasportare una tonnellata di cereali dal Sudan che le mille tonnellate d’acqua necessarie per coltivarle. E allora la domanda: aiutiamoli a casa loro? Siamo proprio sicuri che abbiano ancora una casa? Le cronache sono zeppe di indicazioni su cosa stia divenendo questo neocolonialismo che foraggia guerre e governi dittatoriali pur di sviluppare il suo business. In Uganda 22mila persone hanno dovuto lasciare le loro abitazioni per far posto alle attività di una società che commercia legname, l’inglese New Forest Company. Aveva comprato tutto: terreni e villaggi. I residenti sono divenuti ospiti ed è giunto l’avviso di sfratto…Dove non arriva il capitale pulito si presenta quello sporco. La cosiddetta agromafia. Sempre laggiù, nascosti dai nostri occhi e dai nostri cuori, si sversano i rifiuti tossici che l’Occidente non può smaltire poi però non vogliamo i disperati....La puzza a chi puzza no?
Chi ha fame vende anzi REGALA... L’Africa ha bisogno di acqua, di grano, di pascoli anzitutto. Noi paesi ricchi invece abbiamo bisogno di biocombustibile. Olio di palma, oppure jatropha, la pianta che – lavorata – permette di sfamare la sete dei grandi mezzi meccanici. E l’Africa è una riserva meravigliosa. In Africa parecchie società italiane si sono date da fare: il gruppo Tozzi possiede 50mila ettari, altrettanti la Nuova Iniziativa Industriale. 26mila ettari sono della Senathonol, una joint-venture italosenegalese controllata al 51 per cento da un gruppo italiano. Le rose sulle nostre tavole, e quelle che distribuiscono i migranti a mazzetti, vengono dall’Etiopia e si riversano nel mondo intero. Belle e profumate, rosse o bianche. Recise a braccia. Lavoratori diligenti, disponibili a infilarsi nelle serre anche con quaranta gradi. E pure fortunati perchè hanno un lavoro.
Il salario di questi parassiti che vengono qui per farsi mantenere? Sessanta centesimi al giorno.
Se questo è comprare non immagino se rubassimo.... E in Italia la gente è "stanca" degli immigrati... Povero mondo.
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