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Discussione: DIARIO di BORDO - circumnavigazione del globo fra fantasia e ricordi

Visualizzazione Ibrida

  1. #1
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    Predefinito DIARIO di BORDO - circumnavigazione del globo fra fantasia e ricordi

    Premessa


    Prima d’iniziare davvero il Diario di Bordo di questa transoceanica a vela in solitaria devo fare delle precisazioni e raccontare come tutto è nato giocando e fantasticando con degli amici incontrati qui, sulle pagine di questo Forum.

    Io mi sono avvicinato a MF per ragioni familiari e andate in porto positivamente quelle mi ci sono fermato perché il frequentarlo mi aiutava a passare le giornate, che per quelli come me possono diventare lunghe, e poi per aiutare quei giovani che si avvicinavano al pianeta dei Concorsi, porta d’ingresso verso il mondo delle Forze Armate, mettendo a loro disposizione ciò che sapevo, avevo appreso e apprendevo giornalmente nel Forum.

    La permanenza su MF mi ha portato a conoscere su queste pagine persone di tutti i generi, a scontrarmi con alcuni e a legare con altri, ma questo fa parte della mia natura, del mio carattere forgiato da anni trascorsi da abitante del mare abituato alla solitudine, alla durezza della natura, alla schiettezza e ad affrontare le cose sempre a viso aperto senza piani, sotterfugi, manovre strane, tutte cose che sono tipiche, appunto, della gente che vive sull’acqua.

    Noi siamo abituati a scontri verbali e fisici anche duri, ma poi sappiamo che l’uno può sempre contare sull’altro quando serve.
    Affidiamo la nostra vita a quella persona, sicuri che farà l’impossibile per noi, perché siamo fatti così, il mare insegna a essere così.
    Orange mi capisce bene, sa di cosa parlo, cosa descrivo, è il modo d’essere anche di Vecchi Uomini d’Arme, di Camerati come lui, magari fatevi dire come ci siamo trattati/scontrati nei primi tempi del mio arrivo su MF e come poi ci siamo trovati, simili, nei valori forgianti di un Uomo.

    Tutto questo fa di me una persona difficile da digerire per la maggior parte della gente che vive sulla terra ferma ed anche qui è stato così.

    Comunque durante questo periodo s’inizia a chiacchierare in chat di cibo, bevute, posti e genti e si crea un gruppetto di pazzi che prendono al volo una mia follia serale e si crea l’Equipaggio, quel gruppo di sei, con me sette, amici che realizzerà il primo viaggio.
    100 giorni a bordo del CorsaroII, armo velico mitico, di proprietà della Marina Militare Italiana, con cui supereremo le Colonne d’Ercole, porta dal Mediterraneo sull’Oceano Atlantico, e andremo veleggiando sino alla punta estrema della Norvegia al confine con L’unione Sovietica. Dal Mediterraneo al Mar Baltico e ritorno.

    Al ritorno da quell’esperienza, che raccontammo giornalmente in chat e di cui perciò non resta nessuna traccia nel Forum, s’inizia immediatamente a pensare a un secondo viaggio, un bel giro del mondo toccando tutti gli Oceani e passando magari anche per Capo Horn, per il Capo di Buona Speranza, superando i 50 urlanti ed i 40 ruggenti.
    Le Festività Natalizie, gli impegni di alcuni, ritardano il tutto, poi, i fatti appena accaduti nel Forum, mi fanno decidere, come già più volte ventilato e poi rientrato, di intraprendere questo viaggio da solo, lasciando a terra il mio Equipaggio.

    Il bisogno di prendere le distanze e di ritrovare, nella solitudine di un viaggio anche se solo virtuale come quello che mi accingo a intraprendere e di cui vi racconterò da qui, una mia tranquillità, mi portano a questa decisione.

    Resterò iscritto a MF, ma non sarò più presente come una volta su queste pagine dove, appunto, tornerò di tanto in tanto per aggiornare questo Diario, sempre che la cosa vada bene all’Amministrazione e non sia contro il Regolamento.

    Per concludere questa prefazione mancano solo i saluti a tutti: Amministrazione, Staffers, Utenti, amici e “nemici” e infine la dedica.
    L’esperienza che questo Diario descriverà è dedicata al mio Equipaggio uomini e donne conosciuti qui che porterò sempre con me nei miei pensieri:
    Guerriera, Vittoriosa, Beowuff, Ortiz, Zanzo, Zoppo e Graziano che, anche se non ha navigato con noi, merita un posto d’onore a bordo.
    A voi la mia stima, la mia amicizia, quella che sa dare un Vecchio Vagabondo Oceanico come me.

    Ora gli ultimi ritocchi e poi via gli ormeggi, si salpa. Inizieremo a volare fra fantasia e ricordi, veloci, sulle ali del vento, tagliando le onde.

    Grazie a tutti, Il Viaggio comincia……………………………………………..

  2. #2
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    Itinerario del viaggio:

    Dal porticciolo della Costiera Amalfitana dove era ormeggiato da anni il VAGABONDO, il mio Sloop Cutter MARCONI 25.25 al quale gli amici dei cantieri navali Riminesi hanno apportato delle modifiche e montate nuove e moderne apparecchiature per consentire anche a chi è nelle mie condizioni di governarla al massimo delle sue prestazioni, prova fatta il 30 dicembre con il mio ragazzo e gli amici come raccontato a suo tempo in chat.
    Veleggerà verso lo Stretto di Messina scendendo verso Bengasi per costeggiare la Libia e l’Egitto sino ad Alessandria, Porto Fuad e il Canale di Suez, la porta del Mediterraneo sull’Oceano Indiano.
    Poi il Golfo di Aden ed il Mare Arabico, Lo Sri Lanka, la Malesia, Singapore, l’Indonesia, Papa Nuova Guinea, le coste Australiane, la Nuova Zelanda e da li l’ingresso nell’Oceano Pacifico.
    Ora se fossi con l’equipaggio chiederei loro di scegliere fra due rotte:
    1) Quella più tranquilla verso il Canale di Panama, Cuba, La repubblica Domenicana e l’Oceano Atlantico ecc. ecc.
    2) Quella più dura e difficile che vuol dire dirigere la prua verso la punta dell’Argentina, la Terra del Fuoco e doppiare l’Horn per arrivare alle Isole Falkland e l’Oceano Atlantico risalendo per un pò le coste Argentine prima di saltare verso quelle Africane, il Sud Africa e da li risalire verso la porta d’ingresso sul Mediterraneo, lo Stretto di Gibilterra. Varcare le Colonne d’Ercole e rientrare a casa nel porticciolo della Costiera Amalfitana da cui eravamo partiti.
    Essendo solo sceglierò per la rotta n°2 in modo da passare a salutare quei vecchi amici dei Quaranta Ruggenti e dei Cinquanta Urlanti .

  3. #3
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    Con Felix stiamo bevendo, ridendo e ricordando in questi giorni, rammentato momenti che non ci sono più se non appunto nei nostri cuori e amici, maestri, che ci hanno insegnato e guidato nella nostra vita sia di Marinai che di semplici Uomini.
    Alcuni di essi, gia citati da me in queste prime pagine del Diario, altri no, e mi sono reso conto che possono essere degli emeriti sconosciuti per la maggior parte di chi mi legge ed allora ho pensato fosse meglio fare un pò di storia della vela con qualche citazione.
    Cominciamo con:

    Sir Francis Chichester,
    il 28 maggio 1967, migliaia di spettatori accolgono con entusiasmo il 65enne Francis Chichester quando il suo yacht “Gypsy Moth IV” entra nel porto di Plymouth dopo un giro del mondo in navigazione solitaria durato 9 mesi.

    Il navigatore inglese, che ha circumnavigato in barca a vela il Capo di Buona Speranza e il Capo Horn, ha percorso complessivamente 29.630 miglia marine, battendo diversi record. Non solo è riuscito a fare il giro del mondo in una piccola barca a vela (16,5 m) nei tempi più brevi mai realizzati, ma ha anche percorso il tragitto più lungo senza fare soste in porti intermedi (15.500 miglia marine).

    L’avventura di Ser Francis inizia il 27 agosto 1966, in condizioni decisamente sfavorevoli. Poco prima della partenza il velista subisce un incidente e si ferisce a una gamba, in modo tanto grave da poter a malapena camminare. Inoltre, non è soddisfatto della barca che ha costruito egli stesso per il viaggio e che durante i test si è dimostrata poco maneggevole.
    Già il primo giorno dopo la partenza da Plymouth, Chichester viene colpito dal mal di mare e, come se non bastasse, si verifica un primo difetto nel dispositivo di comando automatico.

    La rotta attraverso l’Atlantico porta il navigatore lungo la costa occidentale della Spagna e dell’Africa fino al Capo di Buona Speranza.
    Dopo averlo circumnavigato, Chichester prosegue verso est, diretto in Australia. Il primo porto in cui prevede di far sosta è quello di Sydney. Tuttavia, dopo aver oltrepassato il Capo di Buona Speranza, incontra tempeste e piogge violente.

    Nel resoconto del viaggio, scrive:
    “Entravano molto vento e molta acqua proveniente sia dal mare sia dalla pioggia violenta. Dovevo tenermi sempre ben saldo, perché la barca rollava e le onde si infrangevano sul ponte. Dopo aver ammainato le vele, mi sono sentito male e sono sceso in cabina per sdraiarmi e cercare di dormire. È stato inutile. Mi ero appena tolto la cerata, quando la “Gypsy Moth” ha cominciato a inclinarsi...”.

    Tuttavia, superata la tempesta, l’11 settembre il navigatore inglese raggiunge la fascia dei tropici.
    I pesci volanti che a volte si abbattono sul ponte costituiscono una gradevole variante alla sua dieta. Durante questo lungo periodo di solitudine, Chichester è spesso profondamente depresso, ma non si perde mai d’animo.

    Il 12 dicembre 1966, dopo 107 giorni in mare, raggiunge finalmente Sydney, in Australia. Durante la conferenza stampa da lui organizzata, un giornalista gli chiede quando si sia sentito più giù di morale, e Ser Francis risponde senza esitare: “Quando è finito il gin”.
    A questo punto, il navigatore inglese ha perso più di 15 chili di peso ed è in cattive condizioni fisiche, ma non si lascia convincere a interrompere il viaggio.

    Il 29 gennaio 1967, affronta il tratto da Sydney a Plymouth, che lo porta ad attraversare Capo Horn e le isole Falkland.
    Dopo meno di 100 miglia marine, la sua imbarcazione viene travolta da uno dei temutissimi cicloni che spazzano il Mar di Tasmania, ma riesce a resistere. Nonostante il mal di mare che lo assale spesso durante le frequenti tempeste, dopo nove mesi di navigazione raggiunge Plymouth.

    Appena in tempo: dopo pochi giorni dal suo arrivo, viene ricoverato d’urgenza per un’ulcera intestinale. La regina Elisabetta II lo nomina cavaliere il 7 luglio successivo.

  4. #4

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    Nella mia ignoranza, sloop e cutter sono due armi differenti.
    In che modo la tua barca è sia sloop che cutter?
    Il Sonno Della Ragione Genera Mostri.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da TorciaUmana Visualizza Messaggio
    Nella mia ignoranza, sloop e cutter sono due armi differenti.
    In che modo la tua barca è sia sloop che cutter?
    Lo sloop è un'imbarcazione a vela con un solo albero dotata di un unico strallo di prua al quale viene inferito il fiocco che, insieme alla randa, costituisce la velatura. Armo nato prima del 1920 alle Isole Bermude, detto anche, per questo, armo bermudiano. Fu chiamato, alla nascita, anche Armo Marconi poiché l'albero, con le sue sartie, il suo strallo e il paterazzo ricordarono, a secco di vele, le attrezzature radio di Guglielmo Marconi. La base della vela di prua di uno sloop moderno di solito è maggiore della distanza tra l'estrema prua, dove appunto la vela è murata, e la base dell'albero. In questo caso questa vela non è un fiocco ma un genoa. Nel caso sia armato un secondo strallo tra un punto più in basso della testa dell'albero e un punto più a poppa del punto di mura della vela di prua, su cui inferire una terza vela detta trinchetta, lo sloop prende il nome di cutter, o di sloop armato a cutter.

  6. #6
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    Agostino Straulino:
    È una delle figure leggendarie della vela italiana. Istriano, impara ad andare in barca per andare a scuola. Le sue prime esperienze sono dunque nel Golfo del Quarnaro.

    Successivamente frequenta l'Accademia Navale di Livorno. Durante la seconda guerra mondiale fu ufficiale nella Decima MAS, tra gli assaltatori del gruppo gamma che piazzavano le cariche esplosive magnetiche sotto le navi britanniche nella rada di Gibilterra.

    Nella carriera Militare raggiunse il grado di Contrammiraglio.

    Al termine della guerra, nel corso dei lavori di sminamento nel Golfo di Taranto, un ordigno bellico gli esplose vicino e lo rese quasi cieco. La vista ricomparve lentamente, ma il suo amore per la vela lo spinse ad allenarsi durante la notte, quando non era necessario vedere perfettamente, per prepararsi ai Giochi Olimpici del 1948.

    Dal 1965, per una decina d'anni, ha avuto il comando della Amerigo Vespucci. Passate alla leggenda l'uscita a vele spiegate dal porto di Taranto attraverso il canale navigabile e la risalita a vela del Tamigi sino Londra.

    Straulino ha ottenuto una medaglia d'oro alla XV Olimpiade (Helsinki - 1952) per la vela - classe interna star e nella stessa specialità una medaglia d'argento alla XVI Olimpiade (Melbourne - 1956). Dopo questi successi la vela italiana ha dovuto aspettare 48 anni e Alessandra Sensini per andare nuovamente a medaglia in un'olimpiade.

    È stato campione mondiale nella One Ton Cup con l'imbarcazione Kerkyra.

    Nel 2002 gli venne conferito dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi l’ordine di Cavaliere di Gran Croce della Repubblica Italiana.

    A 88 anni vinse per la quinta volta consecutiva la regata over 60 di Napoli.

    É morto all'età di oltre 90 anni in una stanza dell’ospedale militare del Celio poi la sua salma è stata portata all'aeroporto di Lussinpiccolo da un elicottero della Marina Militare Italiana per esser tumulata in tomba di famiglia dopo funerale e funzione religiosa presenziati da parenti e autorità italiane e croate.

    Nato per essere marinaio, disse: «Sulla mia isola sono venuto al mondo e cresciuto. Là ho capito il mare e il mare mi ha accolto tra i suoi abitanti. Là ho conosciuto il vento e l'ho fatto diventare mio amico».

  7. #7
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    Eric Tabarly, il Bretone: è nato a Nantes nel 1931 ed è scomparso in mare nel 1998 mentre navigava a bordo del suo Pen Duick III. Resta il più famoso navigatore francese ed è stato certamente uno dei primissimi al mondo.

    Ha navigato in tutti gli oceani, egli stesso racconta di aver cominciato prima a navigare che a camminare. Imparai ad andare a vela per andare a scuola. Debutta nelle competizioni veliche nel 1959.

    Il suo primo successo risale al 1964, quando al timone del Pen Duick II vinse la seconda edizione della Ostar, regata transatlantica in solitario.

    Nel 1967 con il Pen Duick III riesce in un’impresa mai eguagliata: vincere nella stessa stagione il Fastnet e la Sidney – Hobart.

    Nel 1969 vince la transpacifica San Francisco-Tokio.

    Nel 1972 la Los Angeles-Tahiti.

    Nel 1976 con il secondo trionfo nella Ostar entra nella storia della vela come unico navigatore ad aver vinto per due volte la più difficile regata in solitario.

    Nel 1980 batte uno dei record più vecchi della vela, quello sulla traversata atlantica, che resisteva da 75 anni percorrendo la distanza in 10 giorni, 14 minuti e 20 secondi.

    Il suo più grande allievo Philippe Poupon ha detto di lui: Pochissimi grandi della vela sanno insegnare e trasmettere amore per ciò che fanno. Tabarly è stato il più grande anche per questo.

    La vita del Bretone è la storia di un uccellino nero e di un grande velista, che a sette anni, quando più che velista era ancora un bambino, s’innamorò di una vecchia barca che ansimava sulle rive della Loira. La barca si chiamava Yum, aveva all'incirca una trentina d'anni e cadeva a pezzi: il piccolo Eric, con l'aiuto del papà, la risistemò e la ribattezzò. Divenne «Pen Duick», il nome bretone della cinciallegra dal capo nero.
    Nero - un segno distintivo che accompagnerà tutta la vita del grande velista - era anche lo scafo di «Pen Duick». E cinque furono i «figli» che seguirono quella barca, chiamati tutti con lo stesso nome, amati tutti dello stesso amore e distinti soltanto dal numero romano progressivo.
    Per Eric, il padre fondatore della vela francese, marinaio silenzioso di un mondo non ancora divorato dagli sponsor, divenne la barca della vita e della morte.

    Il Bretone era un uomo che fece del mare la sua ragione di vita e che nel mare ha trovato la sua tomba. Fu esattamente alle 22.45 del 12 giugno 1998, a cinquantacinque chilometri dalla costa di Milford Haven, in Galles.
    Tabarly, il suo «Pen Duick» e quattro uomini di equipaggio erano diretti in Irlanda per celebrare i 100 anni dell'architetto William Fife, che aveva progettato la barca. Un viaggio tranquillo, come può essere tranquillo il viaggio di un marinaio abituato a solcare gli oceani in solitario, al governo di una barca senza equipaggiamenti elettronici, al massimo una radio trasmittente, e orgoglioso di farsi venire i calli alle mani maneggiando vele di tela grezza.
    Ma alle 22.45 di quel maledetto 12 giugno, al largo della costa gallese, accade qualcosa d’imprevedibile: un cambio di vento, la barca che ha un sussulto, un gancio che impazzisce, volteggia e colpisce in pieno petto il vecchio lupo di mare. Lui, Eric il Bretone, che non usava misure di sicurezza perché diceva che non servivano, che non si legava mai perchè non voleva offendere il mare, che praticava nudo, senza orpelli tecnologici, quella particolare religione che è il navigare a vela, si trova all'improvviso inghiottito da onde scure.
    Uomo in mare, gridano dal «Pen Duick». E non è un uomo qualsiasi.
    L'equipaggio è formato da gente con esperienze lontane e diverse da quelle del VECCHIO: un fotografo di 63 anni, una coppia di amici di mezza età, un luogotenente di marina in pensione. Non c'è bisogno di essere dei maghi, quando al timone c'è Eric. Basta assecondarlo.
    Con l'acqua a 11 gradi di temperatura, diranno poi i medici, un uomo può sopravvivere poche ore, tre o quattro al massimo.
    Succede che all'inizio l'organismo spinge il sangue a proteggere gli organi vitali, cuore e cervello soprattutto; poi, con il passare dei minuti, il gelo invade ogni cellula, sfonda nel petto, paralizza il cuore, fa precipitare la temperatura corporea. Intorno ai 33 gradi subentra la prima, decisa fase di incoscienza. Tra i 30 e i 25, il coma.
    L'allarme viene dato alle 7, quando «Pen Duick» incrocia una nave commerciale australiana. La radio di bordo, diranno i compagni di Eric sottolineando grottescamente la terribile nemesi, aveva le batterie scariche. Quando scattano i soccorsi massicci, l'inutilità degli sforzi appare del tutto evidente, ma è come se tutto un popolo non volesse arrendersi all'idea di aver perso in maniera così stupida e sublime uno dei personaggi più amati, una gloria sportiva come solo la Francia sa creare.

    Quel braccio di mare al largo del Galles diventa la tomba di Eric il Bretone, l'uomo che non voleva far male alle onde, il marinaio che nel 1964, con «Pen Duick II», un ketch di 13,60 metri, aveva vinto la Ostar battendo il leggendario sir Francis Chichester e l'intera, odiata Inghilterra velica. Per questo si guadagnerà il soprannome di «the fox», la volpe.
    Il mito di Tabarly nasce in quei giorni e a celebrarlo si scomoda non soltanto, e non solo virtualmente, la casalinga di Sedan, ma persino il presidente Charles De Gaulle. «Cher Eric, lei è l'orgoglio di Francia». «Merci, mon général».

    Per la cerimonia funebre a Brest, sarà il presidente Chirac a stringersi intorno alla vedova Jacqueline, originaria della Martinica, e alla figlia Marie.
    Al funerale del mare partecipa tutto un Paese: cinque colpi di cannone e due corone di fiori vengono lanciate dal «Pen Duick Premier» e dal «Pen Duick VI», l'ultimo uccellino nero della serie d'oro. Con quella stessa barca, Tabarly firmò l'altro grande successo nella Transat Ostar, nel 1976, quando tutta la Francia aspettava Alain Colas e il suo superautomatico e gigantesco «Club Mediterranée» e invece, sbucando da un silenzio tenebroso (come al solito, aveva tagliato le comunicazioni con il mondo), al traguardo di Newport arrivò proprio Eric il Bretone.

    Era un uomo e uno sportivo che ha elettrizzato un'epoca non solo con le vittorie, ma anche con le clamorose sconfitte, esito non imprevedibile di una visione molto naif della vela.

    Come dice Isabelle Autissier, affascinata dal mito, ma nel prendere le distanze da esso, quel tipo di mentalità che privilegia l'istinto sull'organizzazione non ha più senso nel mondo della vela di oggi.
    «Tabarly - ha spiegato la più famosa velista di Francia - fu sempre fedele a se stesso anche quando il mondo intorno a lui cambiava. Il suo concetto di barca era semplice: uno scafo, delle vele e dei muscoli. Poteva vincere, poteva perdere: l'albero che si rompeva o gli sponsor che si disperavano erano problemi che non gli appartenevano.
    Navigare per lui era un'impresa soprattutto fisica, carnale, intima, che doveva spingersi fino all'estremo per avere un valore morale. Io non ne sarei capace».

    Era un uomo rustico, legnoso, ma assolutamente naturale, un uomo giustamente considerato l'ultimo dei mohicani marini.
    Né genio né extraterrestre: semplicemente un uomo libero.

  8. #8
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    http://youtu.be/rKP9YFWsRc4

    http://youtu.be/mOqPZ8CCJ1M

    http://youtu.be/BI3Ji5lM4SQ

    http://youtu.be/U6Ox7QYaoLY

    http://youtu.be/Ylmir4JvyFw

    eccovi un po di video per vedere in che paradiso sono arrivato, per la cronaca ho contattato chi mi farà gli acquisti per il VAGABONDO anche se per avere tutto ci vorranno almeno 4/5 giorni, non credo che prima di martedì prossimo potrò ripartire, un po di giorni da passare qui in questo paradiso marino

    intanto oggi piove anche se debolmente, termometro che ora segna +28°, 84% di umidità e vento sui 6/7 nodi da EstSudEst e la cosa dovrebbe essere così anche per i prossimi 2 giorni.
    Ultima modifica di bsk; 27-03-14 alle 14: 20

  9. #9
    Maresciallo L'avatar di giovigor
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    Citazione Originariamente Scritto da bsk Visualizza Messaggio
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    Prima d’iniziare .............
    ................ Il Viaggio comincia……………………………………………..
    IN **** ALLA BALENA E VENTO IN POPPA CON MARE CALMO..aspetto il riormeggio in costiera...ma non perderò una pagina del diario nell'attesa
    Ultima modifica di Orange; 05-02-14 alle 23: 35
    ..ognuno è fabbro della propria fortuna....

  10. #10
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    Bernard Moitessier: nel 1968, classe 1925, fa parlare il mondo intero per la decisione di abbandonare la regata intorno al mondo in solitaria e senza scalo. Proprio quando è in testa a tutti e l'attendono onori e premi favolosi, volta le spalle alla fortuna per continuare invece la navigazione lontano da rotte troppo affollate e soprattutto senza spirito di competizione.

    Moitessier diventa un mito, e non solo per gli amanti della navigazione. Dirà in seguito "tendevo in alto, molto in alto, al limite estremo della mia visibilità, ai confini del mio istinto, là dove le cose mutano forma". Cullato dalle onde lunghe dell'Oceano Pacifico spiegherà poi il suo provocatorio abbandono della corsa in un libro che diventa un cult, La Lunga Rotta.

    Quindi, per quattordici lunghi anni di lui non si saprà più niente. Vivrà nelle isole della Polinesia, sempre in barca, ma la sua filosofia di vita non è la fuga dalla civiltà piuttosto la ricerca delle grandi verità della vita e con un impegno costante per le nobili battaglie dell'ecologismo e del pacifismo a cui partecipa attivamente, a cominciare dalla campagna condotta nel 1973 dagli autonomisti della Polinesia francese che si oppongono agli esperimenti nucleari nel Sud Pacifico.

    Vivendo il mare, sul mare e per il mare, ma sempre vicino agli uomini di buona volontà Moitessier non si stanca di combattere quello che egli chiama il grande nemico: la stupidità umana, senza distinzioni di classi e di origini, che la si trovi nei chilowatt delle centrali nucleari, nell'illusione delle guerre giuste e nelle presunte superiorità di chi le combatte, nelle forme di colonialismo più subdolo, meno visibili e più ingombranti, nelle scelte irresponsabili e inique del cosiddetto progresso.

    Zaino in spalla Moitessier trascorrerà anche un breve periodo della sua vita lontano dai mari del sud, per intraprendere la strada della meditazione, del tai chi, e per avvicinarsi agli insegnamenti di Gurdjeff.
    Poi tornerà alla sua barca per continuare a girare di isola in isola interessandosi a tentativi di coltura felicemente riusciti, soprattutto piantando palme da cocco per salvaguardarne l'esistenza, incrementare la produzione della copra e frenare lo spopolamento degli atolli.

    Moitessier muore il 16 giugno 1994 pochi mesi dopo la pubblicazione del suo libro testamento, "Tamata e l'Allenza", che lo ha reso una leggenda.

    L'hippie degli oceani, il giardiniere delle isole, come veniva soprannominato si arrendeva alla "Bestia" come egli chiamava il tumore che lo aveva lentamente consumato.

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