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Discussione: Essere un eroe

  1. #1
    Soldato L'avatar di Animus
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    Dec 2013
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    Predefinito Essere un eroe

    Ho chiuso gli occhi per un istante, ho lasciato che la stanchezza prendesse il soppravvento su di me, mi sono lasciato pervadere dal tepore di un sonno tanto atteso. La notte mutava in giorno, e la tenebra pian piano cedeva passo a una fioca luce rossastra che proveniva dalle Est della vallata. D’un tratto, quella che credevo fosse una coperta, si è trasformata in una briglia di cuoio legata al morso di un cavallo nero. Quella stessa coperta che doveva coprirmi la notte, è diventata una lunga mantella nera avvolta completamente intorno alla mia figura, e il mio sguardo, da stanco e sdraiato che era, ora vige sul groppone del cavallo di cui detengo i comandi. Davanti a me il rosso del cielo si sposa con le fiamme sputate dai cannoni a qualche centinaio di metri dalla mia sinistra. Più avanti infuria una battaglia dettata da schioppi di moschetti e cariche di baionette insanguinate, i tamburi si sentono perdersi fra cannonata e l’altra, innanzi a me decine, anzi centinaia di corpi stesi a terra imploranti la grazia del Creatore. Stringo la briglia del bianco crine, mi giro di scatto cercando una strada per fuggire da quell’orrore , ma ciò che vedo mi sorprende ancor di più. Un centinaio di cavalieri dai pennacchi rossi e blu, avvolti anche loro in profonde mantelle nere, attende a spada sguainata il comando dell’ufficiale. Mi giro a sinistra e a destra, cerco di capire come mai il mio letto s’è tramutato in un campo di battaglia, ma il tempo delle risposte si fa attendere quando un fiero uomo dalla corazza splendente si fa avanti fra quella schiera di cavalieri, stando poco indietro a una figura altezzosa e regale, un uomo dai profondi baffi neri chiusi a spirale al bordo della bocca. Vedo che quest’ultimo smuove la bocca come per esclamare un grido di battaglia, ma non riesco a coglierlo confuso come sono. Poi ecco che il Re che qualcuno chiama “Emanuele” sprona il cavallo con la spada tratta verso un colle che da verde scuro s’è tramutato in una omogenea formazione di casacche bianche. Mi giro verso l’uomo dalla corazza splendente , e colgo un certo allarmismo nei suoi occhi, che anche lui sia trovato tutto d’un colpo dal letto a un campo di battaglia? Scatta anche lui punzecchiando le cosce del suo cavallo con gli speroni lucenti, <Forza Carabinieri Reali! Per il Re e per i Savoia!> Esclama portandosi all’inseguimento del reale figuro che nel frattempo quasi colto da un’incosciente euforia si scaglia contro le casacche bianche. Improvvisamente senza intendere ciò che realmente sta accadendo, anche il mio bianco cavallo smuove passi euforici dietro l’ufficiale dall’armatura splendente seguito da tutti gli altri Carabinieri. La carica , suonata dalla tromba di uno dei tanti cavalieri, si fa sempre più travolgente. I cavalli scalpitano spronati dai padroni dalle argentee spade di cavalleria. Intonano inni al Re, alla Patria, all’Indipendenza e io con loro mi sento travolgere da uno strano sentimento patriottico. Il vento e l’ansia della carica si sposano sul mio viso, si sentono una decina di spari da quegli uomini dalle casacche biancastre sulla collina, nuvole di fumo davanti a me mentre la distanza da questi si accorcia velocemente. Ancora spari, qualcuno a fianco a me cade da cavallo, poi l’ennesima bordata dalle casacche austriache e sento una fitta così acuta alla gamba sinistra che il mio corpo si china su di essa quasi in automatico, le mani mollano le briglie e la sciabola cercando di capire cosa può essere accaduto, e in pochi istanti mi ritrovi la faccia immersa nel fango , la schiena dolorante e le mani sporche di sangue che tastano un foro di proiettile al ginocchio. Chiudo gli occhi, il dolore è così intenso che pare freddarsi tutto il corpo, pare di sentir perdere il calore del mio corpo con il sangue che esce dalla gamba che formicola. La faccia sporca e bagnata sembra essere congelata e le mani tremano screpolate e umide. Riapro gli occhi, e invece di trovarmi esangue su un campo di battaglia, or sono sommerso nella neve delle montagne del Trentino in quella che sembra essere una lunga buca serpentosa profonda diversa metri e lunga decine di chilometri lungo tutto il costone della montagna. Le luci della trincea si perdono e si mischiano con quelle del cielo limpido di una fredda notte invernale. Scatto a controllare la gamba , e non trovo sangue e ferite, ma semplicemente un forte dolore alle giunture. I piedi formicolano, sembrano ghiacciati, e il viso è umido a causa di un venticello bagnato che proviene da nord. Le mani si screpolano a contatto con una tiepida zuppa calda in una scatola di fagioli vuota improvvisata a pentola e piatto. Il moschetto è vicino a me, a portata di mano, mentre due grosse rocce sono presenti a pochi metri alla mia destra; sgrano gli occhi quasi come per risvegliarmi da un sonno profondo, e scopro che le rocce in realtà sono uomini avvolti in nere coperte logore che fumano sigarette celando il rosso della fiamma con le mani per non farsi vedere dai nemici. Provo a chiudere gli occhi, voglio riposare un’po’ anche io, mi stringo sotto la coperta , anche se è il mio turno di guardia non mi importa voglio solo dormire, chiudo gli occhi e invece di sentire la morsa del sonno sento la morsa della baionetta conficcata nel petto, una baionetta retta in mano da un uomo che parla una strana lingua filo germanica e slava. Lo sguardo con gli occhi di chi muore, sbatto le palpebre con forza ma la sabbia calda mi finisce negli occhi e devo coprirmeli con il braccio. Sono riverso a terra dietro a un fuoristrada verde militare ribaltato. Mi apro velocemente la camicia color argilla per vedere che fine ha fatto la lama, ma trovo solo un grosso livido. Mi fischiano le orecchie così forte che mi sembra di avere quattro mani, porto lo sguardo avanti e vedo il corpo di un ragazzo straziato a terra da una granata, è chiaro, il livido è stato provocato dal ribalzo di una pietra dopo l’esplosione di qualcosa. Mi alzo intontito, non faccio caso ai proiettili che sibilano di fianco, qualche compagno mi dice che sono uno scemo, di stare a riparo, non li sento, o forse non gli ascolto, vedo tutto vibrare, la granata mi ha danneggiato l’udito, porto la mano a tastare l’orecchio destro, perde sangue! Con il timpano rotto cerco di guardarmi attorno, ma quello che vedo è solo sabbia, e un cartello strada scritto in una strana lingua. Cerco di mettere a fuoco e , a stento, riesco a cogliere la scritta “El Alamein” vicino al testo arabo. Cado a terra , ma invece di impattare contro l’arido suolo, ora mi sento completamente bagnato. È stata una caduta morbida, ma non su della sabbia, e neanche su dell’acqua. No , sono bagnato da della neve fresca, da un metro intero di neve fresca. Sono quasi scomparso sprofondando nella neve, mi alzo a stento barcollando e inciampando più volte, tremo tutto, quasi non mi sento più le gambe e sicuramente ho perso la sensibilità al piede. Guardo avanti, una lunga fila di persone morenti si snoda come una serpe su un bianco paesaggio. Non ci sono strade, ne case, ne vita. Solo uomini con in braccio un bagnato fucile e qualche coperta bucata che combattono con un freddo e gelido inverno. Il mio amico mi tieni su per la mantella. Mi dice che se non mi sbrigo a raggiungere il medico in cima alla colonna mi dovranno tagliare il piede. Ho dei grandi crampi allo stomaco, mi mangerei qualsiasi cosa. I miei baffi sembrano essere parte dei ghiaccioli che penzolano dalle targhe dei camion che si fanno largo portando con se i feriti più gravi. Sento un sibilo, un sibilo che si fa sempre più terrificante; un sibilo che mi giunge alle orecchie come un chiaro segno di morte, intorno a me tutti si gettano a terra, io non so più cosa voglia dire gettarsi, le mie ginocchia non si piegano più. Un tonfo assordante, profondo, squassa la neve, mi stacco da terra, la gamba non la sentivo prima, ora però proprio non c’è più. Non ho più la forza per gridare, lasciatemi qui. Il cielo azzurro si avvolge di nere nubi,sento altri spari, altre bombe cadere, sento molte grida di uomini. Poi pian piano le grida mutano, non più di omoni messi a dura prova dal freddo più glaciale. Ora sono donne, bambini, vecchi ad urlare. Io sono in piedi, gli do le spalle ma le mie braccia sono aperte come per fargli da scudo. Ho una fascia bianca che mi attraversa il petto, e la mia divisa è nera, ben tenuta per i tempi. Vedo due uomini farsi avanti, parlano tedesco, conosco quella lingua l’ho imparata a scuola. Mi danno del cane, dicono che non sono degno di vivere, uno mi colpisci alla schiena con il calcio del fucile, mi inginocchio dal dolore, davanti a me ora sono in quattro a parlare tedesco, mi danno del ladro,e mi puntano contro il fucile, qualcuno grida <Salvo! Salvo!> sento quel nome, ma chi sarà mai? Non ci faccio caso, le iridi dei miei occhi si perdono nel foro nere del fucile sorretto dal tedesco, perché lo punta verso di me? Sento uno scoppio, anzi diversi scoppi. Fiotti di sangue sul mio petto mi fanno cadere all’indietro esanime, sento la mia giovane vita scivolarmi dalle mani, sento il mio corpo sempre più leggero. Mi sveglio di colpo, mi ero assopito in macchina, non ho preso il mio caffè serale, e il sobbalzare dell’autovettura mi ha fatto svegliare, colpa delle strade tortuose di Palermo. Meglio così, do la mano a mia moglie mentre guida, poi sposto lo sguardo fuori dal finestrino. Mi sento una strana angoscia addosso, un’inquietudine. Non riesco a farmi scivolare via questa sensazione mentre mi perdo osservando la Palermo serale mischiarsi nei suoi colori più accesi e nelle sue luci più dolci. Due fari si fanno strada a distogliere la mia attenzione, una macchina ci sta sorpassando. Non ci do peso, ma quando i padiglioni delle mie orecchie catturano i colpi esplosi da un fucile automatico è troppo tardi. Mi lascio cadere sul cruscotto della macchina con il viso. È freddo, freddo come il tavolo su cui ora sto dormendo. Mi desto in fretta, mi ero addormentato sul tavolo dopo una colazione forse un’po’ troppo indigesta. Sono al secondo piano o forse al terzo di una struttura militare. Scendo le scale in fretta, sbattendomi la porta della mia stanza dietro le spalle, sono in ritardo per il turno di guardia dannazione! Mi allaccio la divisa nera in fretta insieme al corpetto. Un salto veloce in armeria a ritirare l’arma d’ordinanza e via in cortile. Che caldo che fa oggi, in Italia è mattina presto , forse mia moglie ha già accompagnato i bimbi a scuola e le prime piogge saranno scese. Mi perdo nei miei pensieri, solo un forte rumore di clacson mi distoglie dal ricordo di casa, qualcuno intimi l’Alt, e un rombo di motore a tutta birra si fa sempre più vicino. Un camion sta sfondando il cordone di sicurezza, cerco di mettere a fuoco la situazione, di capir qualcosa, poi un gran abbaglio, quasi come un lampo improvviso seguito dal tuono più tremendo. Sono completamente dall’esplosione, non sento più nulla, non sento più rumori, più dolori, non vedo più niente. È solo nero, tutto il mondo è diventato nero all’improvviso. Sbatto violentemente la schiena a terra, qualcuno viene a soccorrermi, ma io non so chi possa essere, la bocca è impastata dalla polvere alzata dall’esplosione. I miei occhi azzurri vengono celati dalle palpebre. Occhi azzurri chiusi per sempre al mondo. Mi sento dare un profondo scossone. Non so perché è tutto svanito, niente cariche di cavallerie, ne trincee, ne deserto. Niente più baionette, cannoni, autobomba o neve alta un metro. Sono semplicemente sotto le coperte del mio letto. Mi spoglio, cerco qualche ferita sul mio corpo, cerco la mia gamba, guardo il mio petto, tocco la mia pelle. Mi siedo sul letto confuso. Era solo un sogno. Mia madre apre la porta, nota il turbamento nei miei occhi. <Tutto ok? Brutti sogni?>. La guardo. < ho sognato d’essere un eroe.>

    Gallo Lassere Fabio

  2. #2
    Colonnello L'avatar di bacioch
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