Salve a tutti, sono una donna di 31 anni che per la prima volta decide di condividere la propria storia. Nonostante questo post sia in qualche modo anonimo, mi sento ancora in difficoltà a scrivere, come se queste mie parole rivelassero in realtà i tratti del mio volto.
Ho scelto questo forum perché è l’unico mezzo di connessione che ho tra quella che sono e quello che cerco. Cercare risposte è forse una pretesa fin troppo ambiziosa anche per me, non pretendo in effetti tanto, ma poter condividere qualcosa di così pesante da trascinarsi dietro con qualcuno che possa capire perché lo ha vissuto o lo vive… beh, spero possa essere se non altro il giusto inizio.
Ho dovuto compiere 30 anni per iniziare a dare un senso a tutto quanto. A 20 anni si è soltanto ragazzine, in fondo, e la maturità non è qualcosa che capita da un giorno all’altro; è qualcosa che cresce lentamente dalle proprie ferite, in modo doloroso, come l’erba in mezzo alle crepe di una strada.
Sono quasi dieci anni che non vedo, non sento e non parlo più con mio padre. Dieci anni in cui ho creduto di potermi costruirmi una vita mia, indipendente, lontana da un uomo che credevo non volesse far altro che rovinarmela. E per un po’ ci sono riuscita, o meglio, ho cercato di vivere con la spensieratezza di una ragazza qualunque. Ho cercato di costruire la mia vita, credendo che il problema si fosse risolto, dal momento stesso in cui mia madre ed io eravamo andate via di casa.
Ma poi ogni cosa è tornata a rifarsi viva dentro di me. E ho cominciato a capire che non potrò mai andare avanti facendo finta di nulla.
Lo seppi in una sera come tante. Non avevo neanche quindici anni. In un suo momento di cedimento, aveva appena bevuto e aveva pianto davanti a me per la prima volta. Solo ora so il perché. Era stato nelle Forze Speciali, è l’unica cosa che mi fece capire; non volle dire in che ruolo, né da quanto, forse da tutta la vita, da quando era partito per fare la “naja”, come un ragazzo qualsiasi, a cui però era stato detto “hai un’ottima mira, figliolo”.
La sua vita, la mia infanzia, segnata da continue sue lunghe trasferte all’estero. Capitava anche che non lo vedessimo per sei mesi. Finché quel suo sporadico cedimento emotivo si materializzò con il tempo in fobie e di colpo, non partì più per quelle missioni all’estero. Si fece seguire per molti anni da una clinica psichiatrica. E poi la frase di mia madre che lo gettò nell’oblio più totale: “Se non guarisci io ti lascio”. E così alla fine accadde. Come se fosse tutto dipeso da lui. Come se lui avesse avuto scelta in questo.
E ora è come se alla fine si fosse verificato per me uno spostamento di equilibri. Le priorità che una volta giudicavo tali sono ridicoli capricci di cui vorrei vivere, ma che non possono bastarmi. Ho scelto di fare l’infermiera, mettermi al servizio del mio Paese, come lui ha fatto con se stesso. Ho cercato di costruirmi una vita con un uomo, ma non posso vivere accanto a qualcuno che crede che i sacrifici siano per gli stupidi e che comprarsi un auto nuova sia il pensiero trainante della propria vita. Ho letto di esperienze di famiglie di uomini delle Forze Speciali rovinate, dove i divorzi sono quasi all’ordine del giorno per tutte le mille difficoltà reali a cui si va incontro.
Ma la verità per me è un’altra. Quasi un paradosso. E quando la capisci ti cambia per sempre. E non esiste più sacrificio che non faresti per continuare a vederla. Perché è solo quando senti il sapore della pioggia che capisci di aver avuto sete. Lo avrei voluto sapere prima.
E lui non lo sa, e non lo saprà mai. Gli ho detto che lo odiavo. Che non volevo mai più vederlo. Ma per me è stato ed è un Grande Uomo. Nonostante tutti i suoi difetti, problemi; nonostante nessuno vedrà mai il suo volto; nonostante nessuno gli darà una medaglia; nonostante tutto.
Orgogliosa di essere sua figlia.
Orgogliosa di essere Italiana.
Grazie papà.
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