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Discussione: AUGURI Natale 2012 - inizio 2013 - Presepio, albero, addobbi, regali, e riflessioni

  1. #11
    Vittoriosa
    Guest

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    l'albero è già stato fatto, addobbato con decorazioni in vetro e palline di fiori secchi, le luminarie circondano il profilo di casa, sopra al camino sta la ghirlanda di vischio e le lucine...e come variante un presepe tutto nuovo che i miei hanno comprato a Gennaio a Zanzibar: i personaggi sono fatti di banano e gli animali sono quelli Africani (giraffe, elefanti...)!!!

  2. #12
    Tenente
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    Predefinito Auguri per il Santo Natale

    Ai colleghi del CMV CRI e del CM SMOM frequentatori di questa sezione del Forum, ai Moderatori e alle vostre famiglie l'augurio fraterno per il Santo Natale.

    "Stare buoni, se potete" (San Filippo Neri)

  3. #13
    Sergente L'avatar di tanys
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    Auguri a tutti.

  4. #14
    Caporale
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    Predefinito auguri

    Citazione Originariamente Scritto da tanys Visualizza Messaggio
    Auguri a tutti.
    Auguri di Buon Natale e Felice 2013 a tutti i Colleghi del Corpo Militare EI ACISMOM, del Corpo Militare Volontario e soprattutto auguri ai Moderatori per il loro impegno a mantenere viva e dinamica questa importantissima piattaforma telematica che è un vero e proprio "vulcano di idee".

    Auguri ancora a tutti!!!

    Revy

  5. #15

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    Auguri a tutti e come diceva l'indimenticabile Alberto Morichetti " Non cedete a niente e a nessuno"........ :-) a buon intenditor.....

  6. #16
    Utente Expert
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    Auguri di cuore anche da parte mia !
    Patria e Onore.
    Ferrum Ferro Acuitur.

  7. #17
    Capitano L'avatar di Matty91
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    Tanti auguri anche da parte mia a tutti gli utenti della Sezione

    "Impossibile è solo una parola pronunciata da piccoli uomini, che trovano piu' facile vivere nel modo che gli è stato dato, piuttosto che cercare di cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto.E' un' opnione. Impossibile non è una regola. E' una SFIDA. Impossibile non è uguale per tutti...Impossibile non è per sempre... Impossible is nothing."

    Regolamento Militari Forum

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  8. #18
    Maresciallo L'avatar di Zoppo
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    Mi permetto di postare un racconto scritto un'annetto fa e che ho ritoccato leggermente in vista di postarlo in questo Forum. E' un po' lungo ma non dovrebbe essere banale. Spero vi piaccia. Buon Natale.

    NATALE A SAN PATRICE
    ovvero
    Santo Stefano delle FF.OO.

    Giuseppe scalò in seconda, sterzò tutta a destra e mentre il suo furgone rollava a sinistra, accelerò delicatamente ma con decisione uscendo dal tornante.
    Pensava a quante cose erano successe due anni prima: il fallimento della falegnameria industriale dove era impiegato, l’insolvenza della direzione, la liquidazione eseguita col lascito di un grosso furgone… ma ormai era in pieno rettilineo, andava già a quaranta all’ora e perciò mise la terza.
    Pensava a quando, a sessantacinque anni suonati, senza lavoro e prima di rimanere senza soldi, fu costretto a cambiare radicalmente vita. Prima tirò su una tramezza fatta di perline che divideva in due il vano del furgone: nella parte vicina alla cabina di guida – a cui si accede dal portone laterale – ci costruì una grossa cassapanca che fungeva da guardaroba e da letto, vi collocò una stufetta a legna, un fornello e un frigo da campeggio, e dopo aver liberato il monolocale dove era vissuto in affitto per anni, vi si trasferì a vivere; nella parte in fondo invece – a cui si accedeva dal portellone posteriore - montò un bancone da lavoro su cui piazzò una sega circolare, una alternativa e un trapano verticale. In pratica, aveva trasformato il grosso furgone in una falegnameria ambulante con casa annessa.
    Scalò di nuovo in seconda, sterzò a sinistra, il furgone rollò a destra, accelerò e continuò a salire; lungo i bordi della provinciale, c’era sempre più neve.
    - Sei un matto! – gli dicevano – ma dove vai con quell’arnese? –
    Dove andava? Un’idea ce l’aveva: offrirsi come falegname tutto fare ai clienti del suo ex datore di lavoro. Certo che era un’idea un po’ bislacca, ma non ne aveva altre e se doveva aspettare che qualcun altro gliene desse una giusta… Fu così che si presentò all’impresario che organizzava i concerti estivi della riviera romagnola, a quell’altro che organizzava sia il Festival dell’Unità che quello della Fiamma Tricolore, a quelli delle sagre di paese o dei presepi viventi.
    Di nuovo, frizione, terza e acceleratore, e man mano che avanzava, c’era sempre più neve, neve dappertutto.
    Insomma, il punto era questo: a questo mondo ci sono dei falegnami che segano le travi, le avvitano e le inchiodano per fari palchi, stands, baretti da spiaggia, presepi e quant’altro e Giuseppe era uno di loro, prima sotto padrone e adesso libero professionista, come un ingegnere, come un dentista, così faceva contenta la Confindustria che aveva bisogno di flessibilizzare il lavoro, e lui, senza una casa di muri e un contratto che durasse più di tre giorni, più flessibile non poteva essere: chissà Marchionne e la Marcegaglia come erano contenti!

    Che caldo quel giorno di luglio sul lungomare di Riccione, e gli mettevano anche fretta affinché finisse in tempo per il concerto di non so che cocainomane, e lui lì che spostava travi, le metteva sul cavalletto, le centrava dalla sega, le fissava, tirava giù la lama rotante e via un’altra trave, e i manovali che andavano e venivano, e giù di trapano, e passa i bulloni, e stringi, misura, non va bene! Alza di qua! Abbassa di là! Taglia, sega, fora, presto…
    Poi pausa, perché erano le dieci ed era dalle sei del mattino che ci dava dentro senza sosta e quando si è stanchi e si lavora con la sega circolare, è un attimo affettarsi 4 dita. C’era, proprio lì, una ragazzina sui quindici anni, coi capelli castano chiari, lunghi e lisci, seduta sul muretto della passeggiata con i piedi a penzoloni e i palmi delle mani rivolti verso il basso, come a voler sentire il peso delle gambe che oscillavano avanti e indietro, come la sua testa, persa chissà dove. Lui le si sedette vicino, nemmeno troppo perché tra i due c’erano almeno cinque metri, tirò fuori il pane, qualche fetta di salame, ce le mise dentro e azzannò il panino che divorò voracemente. La ragazza fissava il mare, e le onde diventavano schiuma e la schiuma scompariva assorbita dalla sabbia.
    Riprende il lavoro, sega, taglia, taglia e sega, avvita, pialla, raspa, gira, più su! Più giù! A destra! A sinistra. Ancora! Ancora!! E intanto si faceva l’una e mezza e faceva un caldo, un caldo pazzesco, non una bava d’aria, roba che uno non poteva credere che ci fossero dei mesi dell’anno che venisse voglia di coprirsi e di una cioccolata calda. Pausa e andò dall’altra parte del furgone, aprì il frigo e prese un bottiglia d’acqua gelata, se ne tornò dal muretto e iniziò a bersela con avidità. La ragazzina era ancora lì, con le mani sotto alle ginocchia e lo sguardo spento. Sotto il sole.
    - Ma! – pensò lui, - sarà una di quelle fanatiche che aspetta l’inizio del concerto – bevette ancora, ci ripensò su e si ricordò che il concerto era la sera dopo. – Ma! –
    E lavora, e sega, e vai, e tira e molla, e suda, e le bestemmie dell’elettricista perché non avevano ancora finito e gli sarebbe toccato fare la notte. Insomma che erano le cinque, un caldo da scoppiare, prende un attimo di respiro, va al solito posto e lei lì, come persa, come se non ci fosse più con la testa.
    - Ma non avrà caldo? –
    Insomma che si fanno le otto di sera e il suo lavoro era concluso, dopo quattordici ore che lavorava flessibile, ma aveva anche sessantacinque anni suonati, ormai andava verso i settanta e anche se era ancora in salute, aveva un limite. Andò dritto in spiaggia, camminò fino al bagnasciuga, lasciò le ciabatte sulla rena, entrò nel mare, non c’era nessuno, sentì l’acqua tiepida dell’Adriatico rinfrescargli l’inguine, la schiena, le ascelle, il collo, dove più aveva sudato. Un conto era essere stanchi e un altro stare male dalla stanchezza, e più passavano gli anni, più provava quella sensazione, soprattutto dopo la quattordicesima ora di lavoro. Tornò a riva, s’infilò le ciabatte e strascicando un po’ i piedi andò dalle docce dove rimosse il salino. Era stanco morto, morto, talmente stanco da non avere nemmeno fame, solo voglia di riposare, ma senza dormire, perché quando sei così stanco, le ossa doloranti non ti lasciano mica dormire. Tornando dal furgone trovò lei, di nuovo lei, sempre nello stesso posto e nella stessa posizione. Possibile che non si fosse mossa in tutto il giorno?
    - Ciao, come ti chiami? – ma lei parve non sentirlo.
    - Ciao! Come ti chiami? – ripeté lui con maggior enfasi, ma niente, pareva nemmeno vederlo.
    - Ehi, dico a te! – disse lui toccandole una spalla e riportandola su questo mondo.
    Lei, appunto, ritornata su questo mondo, si spaventò e fece come uno scatto all’indietro.
    - Sei stata tutto il giorno sotto al sole! Guarda che non fa mica bene di questa stagione. Puoi beccarti un’insolazione. Hai bevuto un po’ d’acqua almeno? –
    Ma lei nemmeno rispondeva e aveva lo sguardo perso, smorto.
    Insomma che ripeté il solito repertorio del << stai bene? Hai bisogno di qualcosa? Come ti chiami? >> Però, aldilà dello sguardo scioccato, pareva stare bene, anche se sperduta. Insistette, provò a parlarle e dopo un po’ riuscì a strapparle qualche parola, ma poi basta, solo un pianto.
    Che caldo quel giorno di luglio sul lungomare di Riccione! Ma ora, a dicembre su per quel passo di montagna faceva freddo - eccome! - e la neve era sempre di più, e a ogni tornante frizione, seconda, sterzo, virata, rollio, accelerata, frizione e terza fino al tornante successivo.

    Insomma che con tutta quella neve e quella salita, Giuseppe pensava solo alla calda, umida e appiccicaticcia pianura di Riccione, e a lei, con quella faccia da Bambi, che piangeva, e lui, come un pinguino all’equatore, che imbarazzato si guardava intorno e a quelli intorno che guardavano lui, vecchio, con una ragazzina che piangeva.
    Lui provò a rendersi utile con frasi del tipo << Dove sono i tuoi genitori? Vuoi che chiami la tua mamma? Il fidanzato ce l’hai? Qualcuno che ti voglia bene? >>
    La verità era presto detta: a maggio, con le prime serate in discoteca, aveva conosciuto uno di Milano, mi piaci, mi baci, ti amo e non lo vede mai più, ma un mese dopo ha la certezza di essere rimasta incinta senza nemmeno sapere il suo nome, il suo numero di telefono o come rintracciarlo.
    Non lo dico a nessuno, a qualcuno devo dirlo, di mamma ce n’è una sola, e si prende subito due ceffoni, e meno male che anche di padri non ce ne sono tanti, perché prende una saccata di botte. Scappa, va dalla zia che le ha sempre voluto tanto bene, dorme, il giorno dopo parlano, lei le dice che volente o nolente dovrà parlare coi suoi ma che può rimanere finché vuole, e infatti il giorno dopo capisce che se se ne va è meglio, << sì, sì, tranquilla, torno a casa >> e invece dorme in spiaggia, si sveglia col primo sole, è sola, in spiaggia non c’è nessuno, solo la tristezza della sabbia umidiccia, e quando la gente inizia ad arrivare, allora sì che si sente sola, ancora più sola, si siede sul muretto, piega le mani sotto alle ginocchia, si morde le labbra e cerca di restare il più sola possibile per non sentire nessuno, nemmeno il suo corpo che adesso batte con due cuori.
    E lui, Giuseppe, cosa doveva fare?
    - Fai una cosa – dice lui, - sei stata tutto il giorno sotto il sole, non va bene: fatti una doccia, rinfrescati e vieni che mangiamo qualcosa. –
    E lei ubbidisce, perché non c’è come ubbidire per sentirsi sicuri.
    Intanto lui ha fatto una pastasciutta col pomodoro e riempito due piatti, lei l’assaggia ma arrivata a metà non mangia più: non ha fame, non ha voglia di mangiare, nulla.
    << Ti porto a casa >> gli sembra la frase più sensata, ma anche la più terrorizzante, perciò non la pronuncia.
    - Dove dormi stanotte? – si decide a domandarle, così, con nonchalance, e lei che si gira verso il mare e dice – sulla sabbia: è calda. –
    - Sì, ti sembra, ma poi viene umida, sai? Dormi qui da me, almeno c’è un letto – poi si morde le labbra. Una frase così a una ragazzina? Ma in che casini vuole cacciarsi! Ok, d’accordo, ma cosa avrebbe dovuto dirle?
    Alla fine si fa coraggio e fingendo di avere la voce ferma, si rimangia tutto – abbi pazienza, ma non posso offrirti da dormire qui da me, lo farei volentieri ma sarebbe una follia: sei una minorenne e se ti trovano qui, passo dei guai seri. Ti porto dove vuoi ma qui non puoi stare. –
    Lei non replicò, almeno a parole, si limitò a tirar fuori dai pantaloni il portafogli, ad aprirlo e a porgergli la carta d’identità: a giugno, appena un mese prima, aveva compiuto diciotto anni, anche se ne dimostrava si e no quindici. Giuseppe prese un materassino di spugna che teneva nella cassapanca, le lasciò il suo letto e andò a dormire sul retro.
    Il giorno dopo si svegliò, svegliò anche la ragazzina, preparò una moka bella concentrata, smontò baracca e burattini e partì per Misano Adriatico che doveva fare il frontale dello stand della Bavaria alla Festa della Birra, e poi a Rimini per i baracconi, e a Sant’Arcangelo di Romagna per la Sagra della Piadina e a Pincopallo per quella del raviolo, dei funghi porcini, della patata, della castagna, della zucca, dei cacciatori, dei tortellini, la polentata… e a base di sagre, feste, concerti e festival, si era fatto quasi Natale e andava verso San Patrice, in montagna, per allestire un presepe vivente. E lei, sempre al suo fianco e in quel momento, appoggiata alla portiera, dormiva. Si chiamava Maria.

    Erano anni che era solo come un cane e di colpo si ritrova a dividere il retro di un furgone con una ragazzina. Il sangue ci mise poco a ribollirgli nelle vene e lui iniziò a fare strani pensieri, anzi, nemmeno tanto strani considerati il lungo periodo di solitudine da cui ne veniva e dalle grazie di quella ragazzina. A volte la fissava stropicciandosi le mani e scrocchiandosi le dita, come a tenerle impegnate in qualcos’altro. Ma poi, in genere quando era stanco dal lavoro, gli veniva un altro pensiero.
    - Ma non ti vergogni? Sei un vecchio e lei è una ragazzina, e pure incinta! –
    - Sarà anche incinta, ma non si vede nemmeno – si diceva e rispondeva da solo - e poi cosa ci sarebbe di male, scusa? Io l’amo. –
    - La ami? Ma ti sei visto? –
    - Ma no scusa… - si correggeva da se - io sono solo, pure lei, io ho bisogno d’affetto, anche lei, io l’abbraccio, teneramente, allora lei capisce… -
    - … capisce che sei un vecchio porco e scappa, scemo! E poi che fine fa? -
    Allora ragionava un po’ e capiva che amore e affetto erano cose diverse e lui non doveva confonderle, altrimenti avrebbe fatto un pasticcio.
    Una volta si prese un po’ di confidenza, ma a fin di bene.
    - Scusa se insisto, ma perché non vai in uno di quei consultori a parlarne con qualcuno? Qualsiasi cosa tu voglia fare in futuro, qualsiasi decisione tu voglia prendere, è meglio avere le idee chiare. –
    - Decidere cosa? –
    - Come cosa? Quando una donna è incinta deve decidere se tenerlo o meno, ed in ogni caso è bene avere le idee chiare e non perdere tempo. –
    Fu così che s’informarono e ce l’accompagnò, le diede dei soldi e aspettò fuori, non sapendo nemmeno lui cosa fosse la cosa migliore. Quando uscì era raggiante dalla felicità e gli disse che l’avevano visitata, che andava tutto bene, che doveva tornare ogni mese e che non c’era nulla di cui preoccuparsi; anche lui ne fu felice e senza nemmeno sapere bene il perché, iniziò a calarsi nei panni di una figura paterna e responsabile.
    Per gli altri però non era la stessa cosa, e infatti c’era chi la prendeva per la sua amante (magari russa o che ne veniva da chissà dove), o per sua figlia. Lui non diede mai spiegazioni: chi fosse quella ragazza e chi l’avesse messa incinta, erano fatti esclusivamente di lei e lui non era certo tenuto a dare risposte.
    Però la gente faceva domande, infatti vedere una ragazzina incinta che divide il furgone con un vecchio, non è comune, ma lui lasciava che ognuno pensasse quello che voleva, che era la cosa migliore. Se uno domandava << è tua figlia? >> lui, senza dire di sì e mentire, lasciava capire che le cose stavano proprio in quel modo. Se un altro domandava << è tua moglie? >> lui faceva un gesto d’approvazione, d’altronde, perché dire come veramente stavano le cose? Perché umiliarla di fronte a tutti?
    Fu così che si preparò ad una vita un po’ diversa dalla solita e sulla cassapanca costruì un’impalcatura che la trasformava in una specie di letto a castello. Siccome non possedeva che quello che indossava, le diede dei soldi e le disse di comprarsi qualcosa di nuovo e pulito. Poi le dava sempre qualcosa per fare la spesa, e lei tornava, metteva in frigo, s’informava sull’ora della pausa pranzo e gli preparava un po’ di riso, una pastasciutta, quello che c’era. Passò l’estate, venne l’autunno, una notte fece freddo e allora il giorno dopo lui le insegnò ad accendere la stufa adoperando tutti i suoi scarti di legno, ma stando sempre attenta ad aprire lo sfogo per il ricircolo dell’aria onde evitare di restare senza ossigeno. E che caldo dopo cinque minuti, d’altronde a scaldare un posticino piccolo così, era un attimo.

    Anche lei si era ripresa e piano piano si era abituata a quella nuova vita, strana, sempre diversa ma tranquilla, quello che ci voleva per lei e per il suo bambino.
    Le piaceva osservare Giuseppe, un tipo strano, quasi buffo.
    Lavorava come un matto, come un matto perché i matti – è risaputo – non si stancano mai.
    Ma poi scoprì che non era così, che si stancava eccome, ma anche stanco continuava a lavorare, e se ne accorgeva perché soffiava come un mantice.
    Gli sembrava buffo perché quando lavorava non parlava mai: o stava zitto che sembrava da solo in fondo a una grotta, o cantava come se fosse stato a Sanremo; e poi era buffo perché cantava canzoni che sì e no le aveva sentite solo per caso, tipo Poeta vagabondo o Come passa il tempo dei Dik Dik, o Il carretto passava e l’uomo gridava gelati! di Battisti. Ma poi rincarava con Vagabondo dei Nomadi, vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro, soldi in tasca non ne ho…
    Giuseppe era troppo poco rompiballe per essere un nonno o un padre, ma anche troppo buono per essere un estraneo, e troppo vecchio per essere solo un amico: come doveva considerarlo? Non lo sapeva neanche lei. E lui – chissà? – con quali occhi guardava lei? << Di certo non con quelli di un uomo: sono incinta! >> s’illudeva, ma le andava bene, perché sbagliando tutto alla fine aveva azzeccato la persona giusta.

    Arrivarono a San Patrice e posteggiarono sulla piazza del comune, di fianco ad una catasta di travi di legno che gli avevano preparato. Arrivò l’assessore allo spettacoli, il sindaco, il dottore, il farmacista e il direttore del grand hotel e iniziarono a fare i programmi:
    - La stalla la mettiamo qui. –
    - Deve essere lunga così. –
    - Ma deve essere anche profonda per farci stare il bue e l’asinello. –
    - Le balle di fieno le portiamo all’ultimo momento. –
    - Eh sì: adesso sarebbero solo d’impiccio e volerebbero via… -
    perciò si mise al lavoro.
    Iniziò a tagliare un po’ di travi di ugual lunghezza, poi le unì da dietro con delle traversine facendone come dei pannelli. Poi unì i pannelli tra loro e ne venivano fuori le pareti del presepe, con tanto d’ingresso e finestre. Bloccava tutto e controlla che fosse solido, non che poi gli veniva tutto in testa alla Madonna.
    Ogni tanto qualcuno del comitato organizzatore veniva a controllare, e siccome una volta veniva il sindaco, un’altra il dottore, un’altra il farmacista, poi il direttore dell’albergo… non era mai da solo e non riusciva a concentrarsi e lavorare bene, ma cosa poteva farci? Col suo lavoro era ormai abituato ad avere a che fare con gente che non aveva nulla di meglio da fare che guardare gli altri lavorare.
    - Ho fatto il caffè – disse Maria, - bevilo finché è caldo - e lui si portò il tazzone alle labbra.
    Verso sera il presepe aveva preso forma: bisognava solo fare la mangiatoia, qualche aggiustamento, dare alcune mani di bitume per invecchiare il legno e fare l’impianto elettrico, tutte cose che avrebbe fatto il giorno dopo. Il sindaco, il dottore e tutti gli altri guardavo soddisfatti e gli spiegarono che quell’anno volevano fare bella figura.
    - Quest’anno dobbiamo rilanciare San Patrice! –
    - Dobbiamo rilanciare il turismo. –
    - Se non ci pensiamo noi, non ci pensano certo quelli giù a Roma che non fanno mai niente se non mangiare le nostre tasse. –
    - Quest’anno facciamo il pieno. –
    - Così vengono anche nei fine settimana, e a Pasqua e l’8 dicembre… -
    - Quest’anno si fanno le cose in grande. –
    - Il 24 facciamo la polentata e poi tutti al presepe per l’avvento. –
    - E il 25 è Natale e tutti in piazza a adorare il Bambino, con i negozi aperti, le bancarelle e gli stands gastronomici. –
    - Poi Capodanno, e il 6 facciamo i Re Magi. –
    - Io faccio Baldassarre – diceva il dottore
    - Io Melchiorre – il farmacista
    - E io Gasparre – aggiungeva il direttore dell’albergo.
    - E poi ci sono i romani… -
    - I romani? – domandò Giuseppe, e tutti a ridere. Lui non capì, perciò lo invitarono a seguirli in comune, dove gli spiegarono tutto.
    - Dopo la partenza dei Re Magi, la Sacra Famiglia fugge in Egitto appena in tempo per evitare la strage degli innocenti, perciò tutto si conclude con una sfilata di un manipolo di soldati romani con tanto di centurione – e intanto gli mostravano gli abiti che si erano fatti fare, in velluto rosso, con la cotta di cuoio, l’armatura leggera, gli elmi, i pennacchi.
    - Voglio vedere chi fa meglio di noi! – disse uno.
    - Vorrei proprio vederlo! – ribadì un altro, - battiamo tutti quest’anno, e dal prossimo tutti a fare le ferie a San Patrice! –
    Giuseppe tornò sul furgone e si scaldò le mani sulla stufa.
    - Come va? – domandò lei.
    - Bene, manca poco. Domani avrò finito e potremo partire quando vogliamo. –

    Il giorno dopo, verso mezzo giorno, Giuseppe aveva finito, impianto elettrico compreso, perciò montarono la stella e portarono le balle di paglia, il bue, le pecore e una gabbia con le oche e i conigli. A quel punto ci fu solo da far spazio e spostare il furgone cento metri più giù, nel posteggio. La piazza era gremita di bancarelle di vestiti, di maglioni peruviani, di addobbi natalizi, giochi, frutta secca, dolci tipici, c’era lo stand dell’Herbalife e quello del Folletto, quello della Pro Loco e quello della Skoda. Dappertutto luci e gingles, uno che faceva i tarocchi, un altro coi krapfen alla crema, la bancarella della cioccolata calda, l’albero di Natale e i souvenir di conchiglie, il piatto di Papa Giovanni, la finta baita di montagna, le bottigliette di genepì, le piccozze-penne che non scrivono mai, la finta macchina fotografica che se l’avvicini all’occhio vedi le foto delle vette delle Alpi, e i prodotti tipici con i sottaceti, i sottoli, i cacciatorini, lo speck, il formaggio di alpeggio, quello di baita e quello di fossa. E poi le vetrine con un Lego alto due metri, e la gru di meccano, e il Tutto per Caccia e Pesca, e il negozio di intimo con i manichini seminudi coperti appena con un tanga, due pizzi provocanti e un berretto da Babbo Natale.
    - Arrivano! Arrivano!! – gridò qualcuno, e tutti ripeterono – arrivano! Arrivano!! –
    Da dietro all’angolo apparve il sindaco vestito con un saio che guidava un asinello su cui era seduta di traverso una ragazza, giovanissima, del paese, che era stata scelta all’unanimità perché era la più bella, bionda, truccata, un po’ troppo, ma insomma, doveva essere carina, perciò come doveva conciarsi? Procedevano lentamente e si fermarono davanti al presepe. Il San Giuseppe aiutò la Vergine a scendere dall’asinello che legò in fondo al presepe, poi le offrì un treppiede e lei con fare modesto, vi si sedette. Fu un applauso generale e tutti i bambini si apprestarono a mettere le monete e banconote nella cassetta delle oblazioni.
    Giuseppe tornò al posteggio, bussò al portellone laterale, lo aprì ed entrò velocemente per non far scappare il tepore della stufa.
    - Tutto bene? – domandò Maria.
    - Tutto bene – rispose lui, - lo spettacolo è iniziato e tutto funziona a dovere. – E tu, tutto bene? –
    - Sì – disse lei accarezzandosi il pancione di sette mesi, - ma sono un po’ stanca. –
    - Tranquilla, adesso ci riposiamo un po’, poi più tardi vado alla polentata, prendo due porzioni, le porto qua e ce le mangiamo in pace. Va bene? –
    - Va bene – disse lei con voce fiacca.
    - Come la vuoi? La fanno ai funghi, col ragù di cervo, con quello di cinghiale o ai quattro formaggi. –
    - Fa lo stesso – rispose lei - non ho nemmeno tanta fame. –
    - Ma devi mangiare – disse lui ottimista, - e anche per due! Magari ai funghi no, ma ai quattro formaggi o con un ragù devi mangiarla. –
    - Va bene – acconsentì lei, si sdraiò sul suo letto, gli sorrise e poi chiuse gli occhi. Lui ravvivò un po’ il fuoco, poi chiuse la stufa e rimase seduto su uno sgabello a riposare un po’.

    Si fece l’ora di cena, perciò Giuseppe uscì dal furgone dirigendosi verso lo stand gastronomico. Passò davanti al presepe che a eccezion fatta degli animali, era vuoto. Andò alla cassa, acquistò due buoni per due piatti di polenta e due tiramisù, si mise in coda e quando fu il suo turno chiese una polenta al ragù e una ai quattro formaggi: avrebbe lasciato scegliere a lei e poi lui si sarebbe mangiata l’altra. Prese il vassoio e se ne tornò al posteggio. Bussò al portellone e senza aspettare il solito << avanti! >> lo aprì di botto: Maria era in fondo al furgone con gli occhi strabuzzati.
    << Cosa c’è? >> domandò lui.
    << Non lo so >> gemette lei tra l’impaurita e l’imbarazzata, << mi sono bagnata tutta. Ho paura. >>
    Giuseppe capì subito, ma capì anche che c’erano almeno due mesi di anticipo e che l’imprevisto li coglieva nel momento peggiore.
    << Siediti! Siediti! >> disse lui, << vado a chiamare aiuto. >>
    Scappò via e tornò alla polentata.
    << Dov’è il dottore? Dov’è il dottore? >> urlava, ma era come se nessuno lo sentisse. Alla fine vide il sindaco, era circondato dalla folla, lo chiamò, lui sentì, si voltò verso di lui, gli fece un cenno, Giuseppe capì che aveva capito e urlò con tutte le sue forze << il dottore! II dottore! E’ un’emergenza! >> ma quello si voltò dall’altra parte che lo chiamava qualcun altro e lui rispondeva con un grido di gioia.
    Corse in farmacia e chiese del farmacista, ma trovò solo una ragazza che era di guardia.
    << E’ alla festa, come tutti. >>
    << Sì, ma dove? Ho bisogno di aiuto: lui più di me ci capirà! >>
    << Non lo so di preciso, da qualche parte sarà! >>
    << Dammi il suo cellulare, così lo rintraccio subito. >>
    << Mi dispiace, ma non sono autorizzato a darglielo rispose lei. >>
    << Allora chiamalo tu e digli che c’è un’emergenza, che una ragazza sta partorendo, che ho bisogno di un medico e di tutte le medicine del caso! >>
    << Mi dispiace ma mi ha detto che non vuole essere disturbato per alcun motivo. >>
    Giuseppe si sentì come azzittire, non trovò il coraggio di rispondere, perciò senza nemmeno rabbia, uscì e tornò in piazza. Intravide il dottore seduto a un tavolo con la moglie, i figli e altri parenti, che mangiavano la polenta, corse da loro e gli spiegò l’accaduto.
    << Non si preoccupi, ha solo rotto le acque. >>
    << Va bene, ma venga, presto. >>
    << Non si preoccupi: a volte passano anche dei giorni prima che nascano. Si sieda pure qui con noi. >>
    << Ma non posso lasciarla sola… >>
    << Va bene, va bene! >> disse lui, << adesso vada pure e mi lasci festeggiare con la mia famiglia, che è Natale, che poi verrò, tranquillo. >>
    << Farà presto? >>
    << Ma certo, certo, ora non si preoccupi e mi aspetti pure là. >>
    Giuseppe tornò dal furgone con la coscienza a posto di aver fatto il possibile, ma non tranquillo. Non era ancora arrivato al furgone, che sentì le urla di Maria, perciò incurante del pericolo, si mise a correre sulla neve, arrivò dal portellone e lo aprì, trovando la ragazzina che, per alleggerire il peso sulle gambe, si era aggrappata alla trave del letto a castello, e urlava, urlava, urlava. Giuseppe si portò le mani al volto coprendosi naso e bocca e gli venne quasi da piangere, poi abituato a far sempre qualcosa di utile, si guardò intorno cercando il suo daffare, ma quando capì la sua impotenza di fronte a tale evento, gli venne da piangere per davvero, ma si trattenne e cercò di farsi vedere calmo, per tranquillizzarla.
    << Tranquilla, tranquilla. Ho chiamato il dottore. Sta finendo una visita e viene. Tranquilla. >>
    Lei, con i suoi due grandi occhioni, lo fissò con lo sguardo dell’animale rassegnato e moribondo, mentre con la mano destra gli accarezzava la testa: era la prima volta che riceveva un gesto d’affetto da lei, e che bello, spontaneo, ma appunto, lo considerò solo di affetto, l’affetto tra due persone che più disperate non potevano essere. Ma quella calda atmosfera durò poco perché Maria iniziò di nuovo a urlare come se si stesse sventrando, e quando il suo corpo non si trattenne più liberandosi completamente, girò il viso dalla vergogna; anche lui rimase imbarazzato e non sapendo cosa fare per non imbarazzarla ulteriormente, capì che la cosa migliore era essere pratici, come sempre, perciò prese due manciate di segatura, una scopa e pulì alla meno peggio, e poi un po’ di neve e pulì meglio.
    << Tranquilla. Adesso devi pensare a farlo uscire e tutto il resto non conta >> disse lui stupendo se stesso di tanto sangue freddo. << Mettiti come ti senti meglio. >>
    Lei tornò alla posizione di prima e riprese a urlare, a urlare con tutto il corpo, non solo con la bocca e la gola, ma anche con la schiena e i fianchi, e infatti le urla duravano finché duravano gli stiramenti della schiena, le dilatazioni del ventre e le contrazioni del petto. Le mani, strette come morse intorno alla trave del letto, erano bianche come il latte, la pelle trasparente e si vedevano le piccole vene, rimpicciolite, senza più sangue finito chissà dove. Ma Maria non piangeva: urlava e basta, urlava da assordare Giuseppe, e urlava da almeno un’ora, e lui si sentiva sempre più impotente come se fosse stato condannato ad assistere al suo ultimo supplizio. Sarebbe stato bello che dopo tutte quelle urla arrivasse la calma, la serenità, ma non fu così: Maria iniziò a urlare ancora, di nuovo, di più, sempre di più e quando ormai pareva impossibile che potesse urlare più forte, urlò ancora più forte e più a lungo, e intanto i fianchi si allargavano perché qualcuno iniziava a fare capolino, e lei allora, ritrovandosi che non poteva tornare indietro ma non sapeva come andare avanti, urlava, urlava e urlava ancora, e intanto quel qualcuno si apriva strada. Giuseppe capì e mise le mani dove poteva, dove credeva, e se le sentì subito calde e fradice come se le avesse infilate nell’acqua sporca e tiepida dei piatti da lavare. Infine trovò il coraggio di guardare dove aveva le mani, e vide un disastro di sangue, di acqua, di umori, di filamenti e in mezzo a tutto ciò, un bambino, un maschietto, che iniziò a piangere e come iniziò lui, smise sua madre, e allora lui, come ritrovando il bando della matassa, gli porse il bimbo.
    Lei era coricata sulla cassapanca col bimbo di fianco, e lui seduto ad un angolo del letto perché le gambe non gli tenevano più, e la stufa a legna riscaldava tutti e tre come se fosse stato l’alito di un bue e un asinello.

    << Come stai? >> domandò Giuseppe dopo un po’.
    << Bene >> rispose Maria con un viso distrutto ma sereno.
    << Senti un po’ … >> disse lui, << non puoi stare qui: vado a chiedere una stanza in albergo e che vi vengano almeno a visitare. Va bene? >>
    Lei assentì con la testa, lui aprì il portellone, uscì fuori e la bufera di neve lo avvolse. Si chiuse bene la giacca e tornò verso la piazza del paese, quella della polentata, che intanto si era svuotata, perciò si diresse verso il grand hotel che era gremito di gente che danzava e rideva. Giuseppe andò alla reception e chiese una stanza.
    << Mi dispiace >> rispose l’impiegato, << ma siamo al completo. >>
    Giuseppe gli spiegò il problema, disse che era un’emergenza, che una ragazza aveva appena partorito un settimino e non potevano restar fuori nella bufera, che andava bene tutto… ma l’impiegato disse che non poteva farci nulla.
    << Mi faccia parlare col direttore, per favore, lui capirà. >>
    L’impiegato, di malavoglia, acconsentì, lo cercò sul cellulare e gli spiegò la situazione, poi restò zitto un attimo, salutò, si scusò per il disturbo e mise giù, e rivolgendosi al falegname, disse << mi dispiace ma come le avevo detto non è possibile: siamo al completo. >>
    << Senta >> si spiegò Giuseppe, << a noi non serve una stanza di lusso con vista sulle vette: basta anche lo stanzino delle scope, purché sia riscaldato >> ma l’impiegato fece di no con la testa, con l’espressione di chi prega affinché finiscano le inutili richieste.
    Giuseppe si voltò e guardò il marasma festoso e vide il dottore col farmacista.
    << Signori, per favore >> fece lui aggrappandosi ad un loro braccio, << possono venire per un consulto? Possono aiutarci per una stanza stanotte? >> ma loro sembrarono come non sentire e rispondendogli con un muto sorriso, si persero nella calca.
    Fu così che Giuseppe tornò da Maria sconsolato, aprì il portellone, vide che entrambi dormivano, perciò fece piano, si tolse la giacca, si sedette su una cassa di legno e provò a riposare un po’, e non fece a tempo a socchiudere gli occhi, che si addormentò già.

    Passarono le ore quando Giuseppe si svegliò di soprassalto e dopo quell’attimo fisiologico che gli servì per riprendersi, aprì il portellone del furgone e svegliò di fretta Maria.
    << Sveglia! Sveglia! Stai bene? >>
    << Certo che sto bene… >> rispose lei ancora stordita.
    << E il bambino? >> chiese lui concitato, ma non aveva ancora finito di domandare, che guardandolo, videro che si muoveva come un animaletto cieco, segno che stava bene. Giuseppe chiuse il portellone.
    << Cosa è successo? >> domandò Maria.
    << Niente, scusa… >> rispose lui turbato, << è che mi sono addormentato e ho fatto un sogno, un incubo… hai presente quando sogni brutto da stare male? >>
    << Sarà un po’ di tensione >> suggerì lei.
    << Sicuramente >> rispose lui, << solo che per un attimo ho temuto che ci stessimo intossicando di monossido di carbonio, per quello ho spalancato di colpo: per cambiare l’aria. >>
    << Ma cosa ti hanno detto all’hotel? Il dottore? >>
    Giuseppe non aveva parole, ma alla fine rispose dicendo << mi dispiace, è da non credere: non mi hanno nemmeno considerato, né alla prima richiesta né alla seconda. Come se non esistessimo. >>
    Per un minuto vi fu il silenzio più assoluto, poi Giuseppe fece una proposta.
    << Senti: io di questo posto qui ne ho piene le tasche. Se per te va bene, accendo il motore e il riscaldamento, e appena la cabina è calda, vi trasferite davanti e partiamo: a valle, sicuramente, un ospedale o un pronto soccorso dove farvi visitare lo troveremo. Cosa ne dici? >>
    << Per me va bene >> disse lei, << ma te la senti di guidare con questo tempo? >>
    << Sì: ho le gomme da neve perciò non abbiamo nulla da temere. Inoltre non vorrei che rimanessimo bloccati qui senza nessuno che viene nemmeno a misurarti la febbre! >>
    Fu così che Giuseppe uscì e fece quanto aveva detto, e dopo aver rassettato il retro del furgone, partirono. La neve cadeva fitta e densa, ma la strada era ancora agibile, perciò scesero bene; inoltre, dopo qualche chilometro, a causa della minor altitudine la nevicata s’affievolì fino a smettere, perciò la marcia fu delle più tranquille.

    La villa del dottore era la prima del paese, dentro vi dormiva lui e la sua famiglia, quando qualcuno, alle tre del mattino, bussò alla porta con violenza. Il dottore scese le scale, accese le luci del porticato e senza nemmeno guardare dallo spioncino, aprì pensando a qualche indigestione. Quale la sua sorpresa quando si ritrovò davanti un manipolo di soldati romani, o almeno era quello che sembravano, anche se la loro divisa non era rossa come quella che si erano fatti fare in comune, ma piuttosto verdastra; per il resto, anche loro avevano la cotta di pelle e quello che sembrava il decurione, una mezza armatura di ferro, e poi i sandali, i gonnellini, le spade, le lance, gli archi e le frecce. Il dottore non capì, ma soprattutto non capì quando si rivolsero a lui in una lingua sconosciuta.
    << Eh? >> disse lui incredulo, << ma chi siete? >> aggiunse pensando ad uno scherzo, che però finì non appena prese uno spintone che lo mandò per terra. I soldati entrarono in casa e sguainarono le spade.
    << Fermi! Fermi! >> gridò il dottore, << ma chi siete? Cosa volete? >>
    Intanto anche la moglie del dottore era uscita dalla camera da letto e si era affacciata d’in cima alla scala per vedere, e infatti vide chiaramente che un soldato, per tutta risposta, tirava un calcio nelle costole a suo marito. Lei gridò, i soldati la videro e sei di loro salirono di corsa su per le scale; in tre la presero e la portarono giù di forza, mentre gli altri frugarono nelle camere da dove si sentivano urla di terrore. Infatti, vennero fuori con una ragazzina di tredici anni, un bambino di otto e un neonato: i primi due vennero condotti violentemente giù per le scale mentre l’ultimo fu lanciato per aria, e anche se cadde a terra nel sangue, un soldato lo trapassò con la lancia. Il dottore cercò di divincolarsi, ma i soldati lo tenevano fermo; la moglie venne picchiata e poi violentata più volte insieme alla figlia, mentre l’altro bambino, ucciso pure lui. Alla fine, dopo aver mezzo sfasciato la casa, i soldati tagliarono la gola del dottore e trafissero il ventre di sua moglie con una spada lasciandoli agonizzanti a morire dissanguati.
    Abbandonata la casa del dottore, i soldati si unirono ad un altro gruppo più numeroso e, ripetendo la stessa scena in quasi tutte le case, si diressero verso il grand hotel dove fu un’indescrivibile carneficina, soprattutto di madri e bambini piccoli.

    Iniziava ad albeggiare quando il campanello della casa del dottore squillò, e dopo aver controllato dallo spioncino, quest’ultimo aprì il portone, e con una faccia lattea, in mezzo ai singhiozzi disse << avanti >>.
    Il maresciallo, l’appuntato e il carabiniere semplice entrarono impugnando la pistola e il mitra d’ordinanza, si guardarono intorno circospetti per un po’, fino a finire per guardarsi tra di loro con fare interrogativo e abbassare le armi.
    << Ha chiamato lei il 112? >> domandò il maresciallo, e il dottore, senza rispondere o guardarli negli occhi, fece cenno di sì.
    << Qual’è il problema? >> insistette il maresciallo, << dalla centrale parlavano di delinquenti mascherati, di omicidi… >> ma non finì di parlare che il dottore si mise a piangere; sua moglie invece, era seduta su una poltrona, ferma e impassibile, come se fosse stata di sale.
    L’appuntato ripetè le stesse domande del suo superiore, e allora il dottore iniziò a raccontare cosa era successo poche ore prima; il racconto dello stupro della donna e di sua figlia, e dell’omicidio dei due figli maschi turbò i militari, e quando erano lì lì per domandare dove fossero i loro corpi, il dottore concluse il racconto spiegando che tanto lui come sua moglie erano stati uccisi a sangue freddo. I militari restarono senza parole, si guardarono increduli e chiesero al dottore di spiegarsi bene.
    << Sì! >> urlò lui, << mentre mi tenevano in tre, uno mi ha sgozzato con la spada, e mia moglie invece è stata sventrata, lì, dove la vedete! >>
    Si sentì sbattere una porta al piano superiore e il carabiniere puntò il mitra verso l’alto.
    << Chi è? >> domandò un bambino di circa otto anni scalzo e in pigiama mentre si stropicciava gli occhi.
    << Jacopo! Jacopo! >> urlò il dottore che salì le scale di corsa e lo abbracciò urlando.
    << Jacopo! >>
    La moglie del dottore, invece, piantava le unghie nei braccioli della poltrona, digrignava i denti e piangeva spasmodicamente. Poco dopo, avvolta in una vestaglia, uscì la ragazzina di tredici anni che disse a tutti di tacere perché avevano appena svegliato il suo fratellino.
    Si sentì la sirena di una macchina che si arrestava davanti a casa del dottore.
    << Vada lei e riferisca! >> ordinò il maresciallo al carabiniere che uscì di corsa e raccontò tutto ai colleghi.
    << Qui, a parte due pazzi furiosi che dicono di essere stati uccisi poco fa, tutto bene: nemmeno un vetro rotto. Andate pure. >>
    La 156 dei Carabinieri ripartì a sirene spiegate verso il centro cittadino e si fermò davanti al grand hotel; poi sfrecciarono una Croma della Guardia di Finanza, una Impreza della Polizia di Stato, una Panda della Polizia Locale, una Jimny del Corpo Forestale, una Marea scassata dei Vigili del Fuoco, quattro Daily della Croce Rossa… mancava solo il blindato della Polizia Penitenziaria che con due milioni e mezzo di chilometri e le gomme lisce, non era riuscito a fare la salita! Insomma, c’erano tutti, spediti su di gran corsa dal 112, dal 113 e dal 118 che avevano ricevuto decine di telefonate disperate richiedenti aiuto causa i più efferati omicidi… mai commessi!

    Di quello strano evento se ne parlò per diversi giorni su tutti i mezzi di comunicazione e tutti i dichiaranti raccontavano storie di soldati romani o simili, che nel cuore della notte erano entrati nelle ville e nelle camere dell’hotel per uccidere i bambini piccoli, anche se poi avevano fatto una carneficina di bambini di tutte le età, e stupri di donne e ragazzine, e omicidi di genitori che cercavano di difenderli. Si parlò anche del fatto che, tutto sommato, a San Patrice non era stato trovato nemmeno un solo vetro rotto o il minimo indizio di quanto raccontato. Alcune persone poi, raccontarono di non aver sentito alcun rumore durante la notte e di non aver notato nulla di strano. Si parlò subito di una macabra messinscena per apparire sui giornali, per aumentare la notorietà del paese, per attirare altri turisti durante la settimana bianca, a pasqua e nei ponti a venire, e vennero accusati il sindaco, il direttore del grand hotel, il dottore, il farmacista… insomma, tutti i dirigenti della pro loco che combinazione avevano testimoniato le stesse cose e avevano interessi economici in comune. Se ne parlò anche in TV, soprattutto nel programma in seconda serata condotto da un uomo quasi gobbo da quanto piegava il collo verso il basso, e dall’apparenza viscida, soprattutto a causa delle verruche e della abitudine a strofinarsi le mani, che aveva fatto allestire il plastico del paese indicando in rosso tutte le ville dove erano stati denunciati i fatti di violenza.
    Ormai la mitomania di queste genti pareva la tesi più avvalorata, quando qualcuno fece notare che tutto sommato, la maggior parte di loro, da allora, era in cura presso centri psichiatrici; combinazione, il giorno dopo, trovarono la moglie del dottore nella vasca da bagno, con le vene dei polsi recisi per tutta la loro lunghezza e completamente dissanguata.
    Fu allora ovvio che così ovvi non erano i fatti, perciò si approfondirono le ricerche.
    Si avvalorò allora l’ipotesi che per errore, nel sugo di funghi della polenta preparata in piazza, fossero finite specie particolarmente tossiche in grado di creare forti allucinazioni: chi parlò di amanita panterina, chi di amanite muscaria e chi di psillocibe, molto comune sulle Alpi. La teoria venne cavalcata da molti mezzi d’informazione, ma con scarsa serietà, infatti nessuno si poneva i dubbi più sensati: come mai tutti avevano avuto le stesse allucinazioni? Come mai molti di coloro che avevano avuto le allucinazioni, non avevano nemmeno assaggiato il sugo di funghi? Come mai molti che avevano fatto anche il bis di polenta coi funghi, avevano passato una notte senza problemi di sorta? Alla fine, la risposta venne dai NAS che confermarono la totale assenza di funghi allucinogeni, delle loro spore o di altre sostanze psicotrope nel sugo di funghi o negli altri.
    Il mistero allora s’infittì, anche se poi, come tutte le cose, giorno dopo giorno perse d’interesse.

    << Tutto bene? >> domandò Maria che abbracciava il bambino avvolto in una coperta.
    << Tutto bene! >> rispose Giuseppe tutto concentrato nelle guida, mentre da San Patrice scendeva a valle in mezzo alla bufera di neve.
    << E’ che avevi un’aria strana quando mi hai svegliato. >>
    << Sì, ero molto scosso >> rispose lui frettoloso.
    << Ma cosa hai sognato? >> domandò lei notando che non ne parlava più.
    << Non lo so. Uno sciocchezza. Ma sai quando t’impressioni? Ma sarà stato solo lo stress. >>
    << Ma cosa hai sognato? Se posso chiedere… >>
    << Lascia perdere, non vorrei impressionarti… >>
    << Stai tranquillo >> rispose Maria quasi ridendo, << dopo quello che ho appena passato, credo che nulla possa più impressionarmi. >>
    Giuseppe ci pensò un po’ e poi disse, brevemente, che aveva sognato un angelo che gli diceva << alzati, prendi con te il bambino e sua madre e fuggi in Egitto , e resta là fino a quando non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo >>
    << Lo so: è una sciocchezza, ma lì per lì mi ha fatto impressione. Abbi pazienza: forse la cosa migliore era aspettare che si facesse giorno, ma è anche vero che così facendo rischiavamo di restare bloccati nella neve… >>
    << Tranquillo >> disse lei, << anche a me va bene venir via da lì. Magari non è il caso di andare fino in Egitto, ma cerchiamoci un posto più caldo >> e detto questo, mise la sua mano sinistra su quella destra di lui che impugnava il pomello del cambio, e lui, per un attimo, distolse lo sguardo dalla strada e incrociò quello di lei, e sorrisero insieme.

    Giunti a valle, si diressero verso la città, e appena trovarono il cartello stradale che indicava un ospedale, lo seguirono, e raggiuntolo, scesero al pronto soccorso.
    Il bambino e la mamma vennero visitati immediatamente, e tranquillizzati perché stavano benissimo, soprattutto il bimbo, anche se nato di soli sette mesi.
    In capo a un’ora, Maria e Giuseppe si trovarono di fronte alla caposala per compilare il modulo della nascita del bambino.
    << Allora? >> domandò l’infermiera, << come lo chiamiamo questo bel maschietto? >>
    Giuseppe e Maria si guardarono egli occhi in silenzio, fino a quando lei disse << Emmanuele: non so perché, ma mi piace. >>
    << E’ un bel nome >> disse la caposala, << e poi è appropriato: oggi è Natale, e pare che Emanuele fosse proprio il nome dato a Gesù Bambino, e vuole dire Dio è con noi. >>
    La caposala scrisse il nome del bambino, quello della madre e poi chiese quello del padre. Giuseppe ovviamente rimase zitto e imbarazzato, ma allora Maria si voltò verso di lui sorridendo; gli sguardi sì incontrarono e lei accennò un piccolo sì con la testa. Anche lui fece cenno di sì con la testa, ma con un fare interrogativo, al che lei rispose di nuovo con un altro sì, ma molto più evidente, a cui fece seguire un ampio sorriso. Giuseppe allora si morse un po’ le labbra, e commosso, pronunciò il proprio nome.
    Io non lampeggio per comunicare la presenza di posti di blocco.

  9. #19
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    Citazione Originariamente Scritto da Zoppo Visualizza Messaggio
    Mi permetto di postare un racconto scritto un'annetto fa e che ho ritoccato leggermente in vista di postarlo in questo Forum. E' un po' lungo ma non dovrebbe essere banale. Spero vi piaccia. Buon Natale.

    NATALE A SAN PATRICE
    ovvero
    Santo Stefano delle FF.OO.
    [...]
    Diciamo solo che sindaco, direttore dell'hotel, dottore e farmacista si sono meritati la fine che hanno fatto

    Comunque complimenti, bel racconto, avvincente, mi ha proprio preso, soprattutto nella parte in cui sta nascendo il bambino!
    La vita comincia quando non si hanno più certezze

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  10. #20
    Utenti Storici L'avatar di basilischio
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    Bravo Zoppo,
    bel racconto.
    E' la storia infinita che si ripete.
    Quello che accedeva 2000 anni fa accade ancora. In 2000 anni non siamo stati capaci a debellare l'indifferenza, anzi siamo in fase di peggioramento.

    Questo è un particolare del mio piccolo presepe.

    La capannella è realizzata interamente a mano utilizzando sottili tavolette ricavate spaccando un pezzo di un vecchio trave di castagno..... una giornata di lavoro porte e finestre si possono aprire e chiudere.

    Auguri di Buon Natale a voi e vostri cari.
    Ultima modifica di basilischio; 22-12-12 alle 10: 23

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