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Discussione: Paolo Caccia Dominioni

  1. #1
    Moderatore L'avatar di gagliardi
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    Predefinito Paolo Caccia Dominioni

    Nel maggio del 1933 partono dal Cairo dodici amici su quattro veicoli Ford attrezzati per la sabbia. Essi appartengono, come si legge sul lasciapassare rilasciato dallo sceicco El Sobhi, a diverse razze europee, e sono guidati dal conte Dick Raffo, di nazionalità italiana e madre iglese. Obiettivo della spedizione di “ardito turismo desertico” è l’oasi di Siwa, detta pure di Giove Ammone, dove Alessandro stesso si recò, per esservi riconosciuto dai sacerdoti come figlio di Amon, identificato dai Greci con Zeus, e Faraone. Percorso previsto, settecentottanta chilometri su pista litoranea, di cui i primi quattordici asfaltati. L’autore del libro che sto citando nota quasi distrattamente “Pochi fanno caso ai nomi oscuri che corrispondono a quei chilometri: el Bahrein, Sidi Abd el Rahman, El Dabah. Il più oscuro di tutti è El Alamein”.
    Con l’assoluta casualità in cui solo il Destino sa rivelarsi, l’uomo che nel 1933 transita per l’abitato di “Due bandiere”, annotandone il nome oscurissimo, legherà indelebilmente il proprio nome a quel luogo. Ad El Alamein Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo tornerà per lunghi periodi. Come Maggiore, al comando del XXXI Btg. Guastatori del Genio, nelle diverse battaglie combattute ad Alamein da luglio a novembre 1942. Anche e soprattutto, però, dopo la fine del conflitto, soggiornandovi quasi ininterrottamente dal 1949 al 1962. Per incarico del Governo italiano deve provvedere al recupero ed alla sistemazione delle salme dei Caduti. Un compito titanico. Quando l’ingegner Sillavengo, richiamato in servizio “a domanda e senza assegni”, torna a Tell el Eisa, più nota come Quota 33, egli è “un uomo solo, tra cinquemila croci, nel deserto”.
    Nel 1950 il guastatore Renato Chiodini, veterano di Tobruk e medaglia d’argento al V.M., si offre di raggiungerlo a Q. 33 e rimanervi fino alla fine della missione “per dare una mano”.
    Non vi sono fondi, né elenchi aggiornati dei caduti. Coi finanziamenti che Sillavengo trova grazie alla propria personale generosità e capacità di mobilitazione, riordina i cimiteri di guerra provvisori con seimila salme. Solcando i campi minati, durante centinaia di ricognizioni che coprono oltre 360.000 chilometri, con feriti e caduti, recupera, identifica, dà sepoltura a 3299 cadaveri di ogni nazionalità. Progettazione e costruzione sia della base di Q. 33 sia del Sacrario si devono a lui.
    Grazie a lui e al guastatore Chiodini riposano, avendo avuto degna sepoltura, tra sabbie non più deserte quasi cinquemila soldati. Come un eterno presidio, additano agli Italiani, nella buona e nell’avversa fortuna, il cammino dell’onore e della gloria. E quando il ghibli spazza la distesa del deserto, pare di udire migliaia di voci.

    Alto, magro, aduso a fumare la pipa, coltissimo, perfettamente padrone di francese, inglese, arabo e tedesco. Soldato, ingegnere, esploratore, artista, scrittore, nei suoi libri Alamein 1933-1962 e Takfir con impeccabile eleganza parla di sé in terza persona. Coraggioso, leale, generoso, animato dal più alto amor di Patria e dal più puro disinteresse, Paolo Caccia Dominioni di Sillavengo è un grande esempio a cui, nel proprio piccolo, ispirarsi.
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  2. #2
    quantico
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    Bellissimo profilo di un grande combattente animato dai più nobili sentimenti verso i propri fratelli d'armi. E in Alamein 1933-1962 tutto ciò è leggibile tra le righe...

    Non ho mai avuto la fortuna di visitare il Sacrario di El Alamein, ma sono quasi sicuro di trovare lo stesso spirito e sentimento tra quelle mura.

  3. #3
    Wiseman
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    Mi pace condividere con voi anche l specifico ricordo della appendice conclusiva del diario di Alamein: la lettera con cui il Marchese di Sillavengo, già distintosi nella Grande Guerra, mette sugli attenti, e rimbrotta con l'autorevolezza della nobiltà d'anima, il generale Bernard Law Montgomery, <Monty>, poi maresciallo e, successivamente, Visconte Alamein.
    Come lo rimette in riga, ridimensionando la sua figura ed i suoi meriti.

    Anche gli scritti di Caccia Dominioni dovrebbero essere lettura obbligatoria nelle scuole.


  4. #4
    Caporale L'avatar di Ortiz
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    forte Bastiano
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    Credo di aver letto quasi tutto ciò che è stato pubblicato di"P.C.D."(come si firmava negli splendidi disegni). Anzi, mi sembra di ricordare ce ne fosse uno suo originale appeso e incorniciato presso gli uffici del Reparto Corsi alla"Gamerra"di Pisa. Un personaggio dotato di un' ecletticità straordinaria. Sono d'accordo sul fatto che andrebbe letto nelle scuole, anzi sostengo che possa reggere il confronto anche stilistico-narrativo con altri autori del '900 italiano, il cui valore letterario e morale rimane a me misterioso e indecifrabile. Non voglio fare nomi ma a scuola mi propinarono letture sulla resistenza i cui autori non avevano evidentemente mai impugnato un '91 o uno sten. Ad ogni modo chiedo a chi ne sa più di me: il cappello alpino che Caccia Dominioni portava sempre con se, era quello del fratello morto nella Grande Guerra?
    Con la pioggia o col sereno anche oggi un giorno in meno.

  5. #5
    quantico
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    In tutta onestà è la prima volta che lo leggo.

    Per vedere se Paolo Caccia Dominioni indossava il cappello Alpino del fratello Cino si può confrontare il fregio riportato sul cappello che indossa in una sua celebre foto con quello del fratello, Sten del 5° Alpini.


    Il fregio del Genio Guastatori Alpini, Reggimento in cui era inquadrato P.C.D., è questo:


    Il fregio del 5° Alpini, Reggimento in cui era inquadrato il fratello Cino è questo:


    Per me il cappello Alpino indossato da P.C.D. è il suo e non quello del fratello Cino: se non erro, nella foto si notano i manici delle due asce che invece il fregio del 5° Alpini non presenta.

    Poi il grado sul cappello sembra bello spesso, identificativo del grado di Maggiore, rispetto al più sottile che identifica un Sottotenente. E poi la penna identifica gli Uff.li Superiori.

    Cosa ne pensate?
    Ultima modifica di quantico; 06-04-13 alle 14: 45

  6. #6
    Caporale L'avatar di Ortiz
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    Mi sono messo con la lente di ingrandimento a"verificare"altre fotografie stampate sui miei libri e devo dire che sì, il cappello portava il fregio dei guastatori, e anche lavorato da una brava ricamatrice. Non sono riuscito a trovare in giro qualche pubblicazione sul suo periodo nella resistenza, eppure mi sembra di ricordare che avesse scritto qualcosa a riguardo...
    Con la pioggia o col sereno anche oggi un giorno in meno.

  7. #7
    quantico
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    A meno che il cappello Alpino fosse proprio del fratello, cappello su cui poi ci cucì i suoi gradi e il fregio del suo Reggimento e puntò la penna bianca.

    Però se se le ricorda, Ortiz, qualche cosa di vero c'è sicuro!

  8. #8
    Caporale L'avatar di Ortiz
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    Citazione Originariamente Scritto da quantico Visualizza Messaggio
    A meno che il cappello Alpino fosse proprio del fratello, cappello su cui poi ci cucì i suoi gradi e il fregio del suo Reggimento e puntò la penna bianca.

    Però se se le ricorda, Ortiz, qualche cosa di vero c'è sicuro!
    Troppo onore... Non è da escludere che abbia preso un abbaglio, forse la storia del suo cappello la conosceva soltanto lui.
    Preso da un impeto di citazioni letterarie voglio riportare qui un passaggio di di Paolo Caccia Dominioni che trovo attualissimo e senza tempo (a beneficio di chi curiosando passerà da queste parti):
    - Sirte, mattino del 15 Novembre. Un vecchio indigeno si avvicina al fuoco acceso dei nostri cucinieri, un triste fuoco senza calore, che si vuol proteggere contro la pioggia fredda, sottile, alternata a colpi di maestrale grigio. Il vecchio avrà ottant'anni, chiede pane e sigarette, ma il suo è un mendicare da granduca, senza viltà. Nel chiuso mondo islamico di Sirte è certamente un personaggio, si capisce da quel portamento, anche se gli stracci immondi che lo coprono possono indicare solamente una estrema povertà. Non sa parlare italiano, era troppo vecchio quando s'occupò la Libia, e l'indigeno di cinquant'anni non impara la lingua nuova, la lingua difficile del conquistatore. Ma è un saggio, un Socrate da oasi e da carovana. Lo saluto nel mio cattivo arabo e gli offro qualche sigaretta. "Allah ti conservi", dice. Gli chiedo:"Qual'è il tuo pensiero su tutto questo?" Poco lontano, sulla strada, un Hurricane basso sta mitragliando il fatale deflusso della ritirata che non finisce mai. Il vecchio tace, il suo occhio guarda sopra la mia testa, all'infinito, oltre il mare color piombo e spumeggiante del maestrale. Mi volto verso il mare anch'io, per seguire quello sguardo senza orizzonte. E vedo frangersi in un ondata contro il relitto arenato d'un piroscafo, vedo l'alto geyser di schiuma, fuggevole colonna bianca fra tanto grigiore della natura e dei cuori. Ma il vecchio ha parlato, ha detto gravemente una sola parola:"Takfir". Takfir, espiazione. Dopo Tshushima il comandante Semenoff scrisse il libro di dolore, e lo chiamò Rasplata, espiazione. La parola crudele ha riempito lo spazio, mostruosa, mentre il vecchio si allontana. Takfir è nelle nubi basse, takfir è nelle colonne di fumo nero che si levano dalla strada dopo le passate del Hurricane, takfir è nel cadavere denudato e rosso, rosso del fuoco che l'ha riarso, del soldato visto iersera sotto Agheila, vicino all'autocarro distrutto. Ogni cosa oggi è takfir, e si accompagna alla parola tutto il suo significato gigantesco e biblico di immense folle innocenti sacrificate alla volontà, all'ambizione, all'interesse di pochi, in questa guerra, in tutte le guerre, come una maledizione.-
    Con la pioggia o col sereno anche oggi un giorno in meno.

  9. #9
    quantico
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    In questi giorni ricorre il 71° anniversario della Battaglia di El Alamein, giorni in cui la Storia della Folgore è diventata Leggenda insieme a quella dei carristi dell'Ariete, dei Bersaglieri del 7° e della Pavia.

    Fiume di parole sono state scritte su quei giorni di puro eroismo e sacrificio. Per noi è doveroso "solo" ricordare, solo questo. La Leggenda l'hanno scritta coloro che 71 anni fa non si arresero mai. Qui una voce si leva possente e ammonisce a mai disperare nei destini d'Italia.

    E' giusto ricordare questo anniversario ricordando, altresì, Paolo Caccia Dominioni, reduce di El Alamein, che per oltre 10 anni si impegnò nella ricerca delle salme dei Caduti, dei Dispersi e degli Ignoti italiani disperse tra le sabbie e le dune del deserto egiziano.

    Oltre quattromilaottocento Caduti Italiani riposano nel Sacrario El Alamein grazie a lui, sacrario da lui ideato, progettato e realizzato. E ogni anno i Leoni di El Alamein rispondono al grido Folgore. Sono sicuro che questo non è un eco, è semplicemente la loro risposta.

    Ultima modifica di quantico; 23-10-13 alle 17: 50

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