secondo certe teologie, la sofferenza è un dono generosamente offerto dalla divinità anche in assenza di meriti da parte dei fedeli. non bisogna disperare, la situazione peggiorerà certamente
secondo certe teologie, la sofferenza è un dono generosamente offerto dalla divinità anche in assenza di meriti da parte dei fedeli. non bisogna disperare, la situazione peggiorerà certamente
fai pensare a Woody Allen, e le sue considerazioni sull'evoluzione della salutela situazione peggiorerà certamente
Scherzi a parte, sono realmente convinto che l'eradicamento (si chiama globalizzazione, isn' it?) della nostra cultura, e la mancanza di senso dell'impegno/del sacrificio (cfr. le lamentele di Orange nel thread sulla LE) siano alla base di gran parte dei nostri mali.
E non posso non pensare che la colpa ricada sulle condizioni in cui è stata gettata la Scuola.
non solo la scuola (dove 'ste cose raramente oggi s'insegnano), che pur rimane secondo l'orripilante lessico dei sociologi "agenzia formativa primaria", ma dell'impostazione data alla "cultura popolare" dagli anni '70 in avanti.
in quest'epoca smemorata e labile, le feste comandate, celebrate con enfasi ed immancabile stucchevole retorica, sono il 1 maggio, il giorno di san marco (sempre di meno), la festa della mamma e quella dei nonni.
Impagabile!il giorno di san marco
La Leggenda del Piave è una sorta di "cult" per tutti noi.
Ai miei tempi delle scuole elementari quando il maestro c'è ne parlava lo stavamo
ad ascoltare tutti attentissimi e emozionatissimi.
Poi avevo mio nonno che quella battaglia l'ha combattuta, Giovanni si chiamava,
ricordo la sua medaglia al valore che aveva appeso con orgoglio alla parete.
Però guai a chiedergli di raccontarla.
Diventava triste, si metteva a piangere.
Diceva che non aveva visto mai morire in una sola volta tante persone, tanti
suoi compagni di armi.
Deve essere stata, al di la della retorica, per altro giusta e patriottica, davvero
molto atroce per quelli che l'hanno vissuta realmente.
E mio nonno era uno dei ragazzi del 1889, giovanissimo all'epoca.
Quei ragazzi che hanno scritto una bellissima pagina memorabile della nostra storia.
Ultima modifica di FRANCODUE; 25-05-12 alle 19: 25
Immagino volesse dire 1899 ... o non sarebbe stato poi così giovanissimo nel 1918.uno dei ragazzi del 1889
Non che per avere reazioni dolorose in presenza di una battaglia si debbano avere 17 anni...
come si dice, solo una cosa è peggiore di perdere uno scontro sul campo: vincerlo.
Ma grazie ai nostri nonni (c'era anche il mio), ed a tanti come loro, il nostro Paese, bene o male, oggi ce lo abbiamo!
Si certo mi scuso per la vecchiaia "occhialuta" che spesso mi fa fare sbagli madornali.
Ma come dice te, alla fine ringraziamo i nostri nonni, quelli almeno di cui abbiamo oltre il cinquantenario e passa di secolo, che questo nostro grande paese hanno tutti
da Nord a Sud , visto che all'epoca erano tutti li, hanno contribuito a farlo.
Ultima modifica di FRANCODUE; 25-05-12 alle 21: 14
la canzone fu composta nel giugno 1918, immediatamente dopo la "battaglia del solstizio" da e.a.mario, pseudonimo di ermete giovanni gaeta, napoletano, e divenne subito celeberrima fra i civili e le truppe, e rafforzò il morale delle truppe prima della battaglia di vittorio veneto e l'offensiva vittoriosa. il generale diaz telegrafò all'autore "la vosleggenda del piave al fronte è più di un generale".
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tra le altre canzoni che scrisse, accludo il testo d'una particolarmente bella, dedicata al milite ignoto
Soldato Ignoto
(testo di E.A. Mario)
Il Carso era la prora d’Italia all’avvenire
Immersa nell’aurora per vincere o morire
E intorno a quella prora si moriva
Quando alla Nave arrise la vittoria
Ma il nome di ogni fante che periva
Passava all’albo bronzeo della Storia
Soldato ignoto, e tu?
Nei meandri del destino
Ossa senza piastrino
Eroe senza medaglia
Non esistevi più
Finita la battaglia
Fu chiesto inutilmente
Nessun per te poteva dir: “Presente!”
Il Piave era una diga d’elmetti e di fucili
Anime e corpi in riga, i fanti non son vili
La morte li freddò coi suoi miasmi
Li strinse a mille tra le ossute braccia
Li rese inconoscibili fantasmi,
Ne disperdeva fin l’ultima traccia
Soldato ignoto, e tu?
Nei meandri del destino
Ossa senza piastrino
Eroe senza medaglia
Non esistevi più
Finita la battaglia
Tua madre inutilmente
Tra i morti intatti ricercò l’Assente
La gloria era un abisso ma dallo Stelvio al mare
Lo sguardo restò fisso, si doveva passare!
E la chiodata scarpa vi passava!
Tritò l’impervio Carso a roccia a roccia
Pigiò nel Piave sacro che arrossava
Sangue nemico tratto goccia a goccia…
Soldato ignoto, e tu?
dai meandri del destino
or brilla il tuo piastrino
fregiato dalla palma
Eroe, non morrai più
E solo la tua salma
Ch’è rivolta ad oriente
Da Roma può rispondere: “Presente!”
Lo scheletro dell'alpino, recuperato nel 2015 nelle Dolomiti, non ha una tomba per colpa della burocrazia
di PAOLO RUMIZ, da La Repubblica del 27 aprile 2017
http://www.repubblica.it/cronaca/201...-C4-P4-S1.4-T1
Attenti: se trovate un Caduto, rimettetelo subito sotto terra. Riconsegnate il corpo alle stelle alpine, alle primule, alla pace ritrovata dei luoghi dove ha combattuto. Altrimenti, se ne denuncerete la presenza secondo le procedure di legge, lo farete finire in qualche sottoscala o in uno scaffale, ed egli diventerà numero, rapporto, carteggio, faldone, scartoffia, italica scocciatura. Sarà annichilito dagli ingranaggi di una macchina burocratica che ha dimenticato cosa sia la memoria e la riconoscenza per chi ha fatto il suo dovere.
È il destino del milite ignoto trovato nella primavera del 2015, a cent'anni esatti dall'inizio della Grande Guerra, sotto la Cima di Costabella in Dolomiti, tra la Marmolada e il Passo di San Pellegrino, dove Italiani e Austriaci si sono combattuti per due anni e mezzo in condizioni estreme. Ventidue mesi dopo il ritrovamento e trasferimento a valle, il cadavere è ancora lì, alla stazione dei Carabinieri di Moena, non si sa se in un sacco, una cassetta o una scatola, in attesa di un "Requiem" e di un camposanto dove riposare.
A Moena tutti hanno fatto il loro dovere. Il "recuperante", Livio Defrancesco, che ha trovato il corpo senza nome in fondo a un canalone dopo un violento temporale che aveva smosso le ghiaie sopra lo scheletro. Il magistrato che ha avviato la pratica. I Carabinieri, che hanno avvertito i loro superiori. La stampa locale e nazionale, che ha informato gli Italiani.
Non il ministero della Difesa, che attraverso l'apposito istituto interforze denominato "Onorcaduti", avrebbe dovuto occuparsi della sepoltura. Morale: i Cc di Moena vivono dal luglio del 2015 con in caserma un morto che nessuno vuole. Ci avranno fatto quasi l'abitudine, a quel mucchietto di femori, clavicole, costole e falangi, chiusi non si sa dove con probabile targhetta di cartone. Tutto questo a pochi chilometri dal cimitero militare di Santa Giuliana, a Vigo di Fassa, dove altri Caduti della Grande Guerra hanno trovato onorevole riposo, in una prateria con vista sui monti più belli del mondo.
E sì che, dal 2001, il comando di "Onorcaduti" è in mano a commissari scelti dall'arma dei Carabinieri, che alla tenenza di Moena avrebbero dovuto dare risposta immediata. Nell'ordine, i generali Bruno Scandone, Vittorio Barbato, Silvio Ghiselli e, ora, Rosario Aiosa, il quale si è trovato a fronteggiare le commemorazioni del centenario con mezzi inadeguati, in gran parte grazie all'aiuto volontario di associazioni combattentistiche e d'arma, a fronte di una situazione disastrosa, con ossari e cimiteri in pessime condizioni.
Se una civiltà si giudica dai suoi cimiteri, allora è possibile dire che con la nuova gestione sono finiti, anzi sepolti per sempre, i tempi in cui "Onorcaduti", nati nel 1919 con al comando nientemeno che il generale Armando Diaz, portarono a compimento la missione in posti come El Alamein e il fronte russo. Tempi in cui l'istituto fu trascinato dall'entusiasmo di figure mitiche, come i generali Umberto Ricagno e Ferruccio Brandi, o da superiori iper-attivi come Benito Gavazza, che nel 1990 avviò il rimpatrio dei Caduti sul fronte del Don.
Ma tu chi sei, alpino di Costabella? Sì, perché tu, soldato, morto certamente in azione sul canalone Ovest della montagna, col cranio spaccato da un masso a soli cinquanta metri dalle linee austriache, eri un alpino che andava all'assalto. Un alpino gigantesco per l'epoca, alto sul metro e ottantacinque. Lo dicono i tuoi femori. Dovevano conoscerti tutti, per la tua forza. Lo sappiamo con sicurezza in che compagnia stavi, perché su quel tratto di fronte c'eravate solo voi, ragazzi della 206.a, battaglione Val Cordevole, settimo reggimento.
L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola
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Tu ignori, per fortuna, la miseria dei nostri tempi. Noi, invece, sappiamo qualcosa di te e dei tuoi compagni. Eravate tappi di un metro e sessanta di media, ma capaci di sopportare fatiche da bestie. Gente come Giacomo Dall'Osbel detto "Ross faghèr", faggio di pelo rosso, in grado di portare sulle spalle un quintale e mezzo in salita. O il vostro capitano, Arturo Andreoletti, immenso alpinista, che ebbe il fegato di mandare a quel paese il generale Peppino Garibaldi per gli ordini che dava, considerati suicidi.
Come l'assalto al Col di Lana, una vera tomba per gli Italiani. Sappiamo anche quando, presumibilmente, precipitasti in quel canalone: fu alla fine del tremendo inverno del 1916, in cui caddero, in Dolomiti, diciotto metri di neve.
L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola
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Sono tutte cose che Livio Defrancesco sa bene. È da bambino che batte le sue montagne e oggi, con i materiali che ha trovato, ha aperto in casa propria uno dei più bei musei della guerra alpina. Si definisce un miracolato, per essere sopravvissuto a tre esplosioni, tra cui il botto micidiale di una bombarda. "I tre jolly della mia vita li ho già giocati", commenta rudemente, come chi ha già visto cosa c'è oltre la linea d'ombra.
"Ero sotto la cima di Costabella a fare manutenzione dei sentieri - racconta - e ho visto delle scarpe chiodate, tipiche di quella guerra in montagna. Le ho prese in mano e ho sentito che dietro venivano i piedi, la gamba, il corpo. Le ossa erano perfette, grandi più del normale. Accanto al corpo, un arpione per far sicurezza ai compagni, una gavetta e una bomba a mano. Niente piastrina di riconoscimento. L'elmetto era spezzato. Era stato chiaramente portato via da una valanga o da una frana".
L'ultimo affronto al milite ignoto: dimenticato in una scatola
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Chissà se, attraverso questa denuncia, riusciremo a sapere il tuo nome, soldato di Costabella. "Gli alpini della 206.a compagnia non erano poi tanti, ed erano sicuramente bellunesi - commenta Mariolina Cattaneo, coordinatrice della rivista "L'Alpino" a Milano - se poi si pensa alla statura inconsueta dell'uomo e alla memoria leggendaria di quegli scontri, forse qualche parente o studioso della Grande Guerra si farà vivo per sciogliere l'enigma".
E chissà, a quel punto, che non requiescat in pace.
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Dopo un secolo di solitudine e due anni di abbandono, ho pensato che invece di dedicargli una discussione che poi magari resta vuota, sarebbe stato meglio in una discussione un po' più affollata e con una canzone a lui cara.
Io non lampeggio per comunicare la presenza di posti di blocco.
Ho letto l'articolo proprio stamattina, in un misto tra incredulità e imbarazzo.
Poi mi sono ricordato in che razza di paese viviamo. E i conti sono subito tornati.
Ricordo che siamo il paese che solo qualche anno fa, nel nome della spending review, aveva già approntato una legge che prevedeva lo scioglimento proprio di quel glorioso Corpo degli Alpini di cui questo militare ha fatto parte.
Ricordo che la preghiera dell'Alpino è stata avversata da più parti dai soliti imbecilli che vedono fascisti in camicia nera nascosti perfino nella vaschetta del gelato.
Ricordo che termini come "amor di patria", "spirito di corpo", "patriottismo" ti fanno passare per il più sfegatato nazifascista ancora in vita.
Parimenti, proprio ieri leggevo l'articolo dell'ultimo reduce di El Alamein, appartenente alla grande Folgore, il quale ha festeggiato il suo 96 compleanno con un lancio in tandem col paracadute. Ne ho ascoltato le parole: lucide, implacabili. Avrei voluto fare una sola domanda a questo grande Uomo, a questo eccellente Militare: ha combattuto in uno dei fronti più caldi, è stato prigioniero dei nazisti per tre mesi, ne ha passate di tutti i colori..... se avesse potuto vedere l'Italia di oggi, lo avrebbe fatto lo stesso? Conoscendo appena un po' la mentalità della Folgore, sono sicuro che mi avrebbe risposto senza esitazione: SI'!!
Amaramente, mi sovviene l'antico adagio: chi muore giace....
Sovrintendente della Polizia di Stato
Componente di Staff www.cadutipolizia.it
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