Da qualche parte c'è un giovane laureato in medicina che non ha mai dimenticato quelle foto vecchie e polverose di suo nonno "Artigliere del Regio Esercito", combattente in Albania e Montenegro, prima dell'8 settembre 1943. Affascinato da una tradizione familiare che lo ha sempre inorgoglito, fa una precisa scelta di vita: vuole diventare ufficiale in un corpo sanitario militare. Il giovane ha frequentato un corso di laurea di circa 6 anni, più un anno per conseguire utilmente il diploma di abilitazione all'esercizio dell'attività professionale. Motivato e assai preparato, vince il concorso "a nomina diretta" ed entra felicemente nell'organico con il grado di tenente.
Nella medesima struttura diviene sincero amico di un collega, laureatosi però frequentando l'Accademia militare, meno brillantemente perché ha impiegato circa 8 anni e per una questione sorta con riguardo alla data di laurea ha potuto abilitarsi solo 2 anni dopo la discussione della tesi. Dopo 3 anni, i due giovani assumono entrambi il grado di capitano e la loro amicizia si sviluppa al pari della loro capacità. Trascorsi altri 3 anni, i due amici decidono un giorno di andare insieme a ritirare la busta-paga. Il primo ritira il proprio stipendio da capitano. è tranquillo e di buon umore fino a che non si accorge che la busta paga del suo collega "accademista" è praticamente pari a quella del loro Colonnello comandante.
Confuso e sinceramente sorpreso, chiede spiegazioni all'amico, sentendosi rispondere che è già da un po' che guadagna quella somma. Allora si rivolge all'impiegato dello sportello, fin quasi trasalendo quando gli viene risposto: "No, no, guardi... qui non c'è nessun errore. Legga, legga pure... è la legge! Più chiaro di così...". Nell'ormai lontano 1948 un processualista del calibro di Salvatore Satta sentiva il dovere di ammonire che "...la società non sente e non vuole la Scuola, se non come uno strumento di facili conquiste pratiche, una fabbrica di titoli accademici da concedere come corrispettivo delle tasse pagate...".
E nei lustri successivi, al di là delle contrapposte opinioni, non si è potuto fare a meno di notare una progressiva svalutazione del diploma di laurea, un tempo altisonante privilegio di pochi, oggi invece sempre meno adeguato a garantire un biglietto da visita spendibile nel mondo del lavoro. A meno che non lo si corredi di una infinità di stages, masters, corsi di aggiornamento e compagnia bella. Di più: nel variegato panorama del pubblico impiego, ci si può perfino imbattere in talune situazioni limite, nelle quali un soggetto "capace e meritevole" può ben rimpiangere di non essersi goduto di più la vita invece di piegare la testa sui libri, per non laurearsi fuori corso.
Nel quadro di un ampio processo di riforma delle condizioni di lavoro previste per il pubblico impiego non contrattualizzato, si sono emanate diverse norme in tema di trattamenti economici degli ufficiali delle forze di polizia e delle F.F.A.A.; in particolare le leggi nn. 86 e 250 del 2001 hanno modificato il previgente sistema di "omogeneizzazione stipendiale". Nel nostro ordinamento infatti, le Forze di Polizia e le Forze Armate sono caratterizzate da organici a numero chiuso, per cui un dirigente potrà salire al grado superiore solo quando si liberino dei posti mediante la c.d. "apertura dei quadri". Allo scopo di svincolare la carriera amministrativa da quella gerarchica è stato, perciò, introdotto il meccanismo della omogeneizzazione stipendiale, riconoscendosi lo stipendio di dirigente a chi, pur possedendone i requisiti, non abbia conseguito il grado in ragione delle regole selettive.
Ecco perché l'art. 43-bis delle legge n. 121 del 1981, come oggi modificato, prevede che " (...) ai funzionari del ruolo dei Commissari ed equiparati della Polizia di Stato che abbiano prestato servizio senza demerito per 13 anni è attribuito lo stipendio spettante al primo dirigente. Ai medesimi funzionari ed ai primi dirigenti che abbiano prestato servizio senza demerito per 23 anni è attribuito lo stipendio spettante al dirigente superiore". La legge n. 250 è stata emanata per appiattire una discriminazione tra ufficiali laureati delle Forze Armate e Commissari di Polizia, dato che con la legge n. 86 solo ai primi veniva applicata la soglia dei 13-23 anni di servizio, mentre per i secondi rimaneva la soglia previgente di 15-25 anni, estendendosi nel contempo le nuove condizioni anche all'Arma dei Carabinieri.
In più, fino al 2001, per gli ufficiali laureati di Esercito, Marina e Aeronautica, il computo era ritardato di almeno un biennio: mentre per un Carabiniere decorreva a partire dal grado di aspirante-sottotenente, per i secondi decorreva solo a partire dal grado di tenente. La legge n. 250 ha provveduto, opportunamente, ad appianare la disparità. Tuttavia, a causa di una svista del legislatore, si è venuto a determinare un meccanismo che crea ridicole sperequazioni. I meccanismi di inserimento nelle Forze Armate si concentrano su modalità concorsuali: da una parte, un concorso finalizzato all'accesso in Accademia (una vera e propria università); dall'altra, un concorso a nomina diretta destinato ai laureati in varie discipline.
Ebbene le recenti modifiche, sia pure opportune, hanno lasciato un vuoto normativo in grado di incidere in modo negativo e sperequativo sulla condizione degli ufficiali laureati "non accademisti" e, si badi bene, su tutti i laureati, non solo i medici, anche se per questi ultimi la maggior durata degli studi universitari finisce per accentuare la portata della discriminazione. Costoro infatti, non hanno mai avuto la qualifica di aspirante, né hanno rivestito il grado di sottotenente: per cui, niente computo. Mentre gli accademisti si vedono riconoscere - ed è ormai un diritto giustamente acquisito - la laurea sia ai fini contributivi, sia ai fini della omogeneizzazione stipendiale a partire dal terzo anno, cioè considerandosi anche gli albori della loro carriera, quali aspiranti e poi quali sottotenenti.
Non solo: ai fini stipendiali vengono riconosciuti anche gli anni in eccedenza rispetto al piano di studi ordinario, per cui laurearsi un po' più comodamente finisce per diventare un vantaggio. Non così per i colleghi entrati "dall'esterno" i quali, se vogliono raggiungere la sospirata omogeneizzazione entro i 40 anni, devono fare in modo di laurearsi al massimo entro i 25-26 anni perché, più tardi vengono nominati ufficiali, più tardi comincia il conteggio. In sostanza, si trovano svantaggiati proprio coloro che sono entrati in base a un titolo di studio già conseguito rispetto a coloro che entrano al fine di conseguirlo, senza contare che i primi svolgono (e pagano) la loro formazione per conto proprio, senza oneri per l'amministrazione che provvede sì a selezionarli, ma a selezionare comunque un prodotto finito.
Con ciò non si intende criticare gli istituti delle Accademie militari, volti a una formazione mirata di soggetti che aspirano a svolgere delicate funzioni dirigenziali, ma evidenziare una disparità di trattamento difficilmente giustificabile, almeno sino a che resteranno due le vie d'accesso. Cosa avrebbe dovuto dire quel tenente colonnello entrato per nomina diretta, se avesse visto un collega inferiore in grado guadagnare più di lui e con minori responsabilità? I Padri Costituenti non avevano scritto che "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro"?
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