Una notizia che sembra arrivare da un altro mondo, sicuramente da un’altra era. A 101 anni è morto a Roma Amedeo Guillet, ufficiale di cavalleria, comandante in Africa orientale di un gruppo anti-inglese, agente dei servizi segreti e poi ambasciatore d’Italia in giro per il mondo.
Negli anni lo avevano ribattezzato “il Lawrence d’Arabia italiano”, ma forse è anche poco: nato a Piacenza nel 1909, Guillet iniziò come ufficiale di cavalleria del Regio Esercito, e da campione di equitazione venne selezionato per le olimpiadi di Berlino del ‘36. La guerra d’Etiopia e poi la guerra civile in Spagna lo allontanarono dallo sport.
Allo scoppio della guerra mondiale Guillet era in Africa Orientale italiana: il Duca d’Aosta gli aveva affidato il comando di un Gruppo Bande Amhara a cavallo, un reparto formato da eritrei, etiopi e yemeniti. Divenne una figura leggendaria, la sua capacità di comandante, la conoscenza dell’arabo e del mestiere di cavaliere ne fecero un leader. Quando gli italiani furono costretti alla resa in Africa orientale, Amedeo con 400 cavalieri si diede alla macchia, per 6 mesi in clandestinità continuò a combattere gli inglesi. Fu allora che diventò il “comandante diavolo”.
Il racconto di quella guerriglia, dei tentativi degli inglesi per individuarlo e catturarlo, della fuga nello Yemen, sono la parte più avvincente del più bello fra i libri scritti su Guillet, “La guerra privata del tenente Guillet” di Vittorio Dan Segre. Costruito come un romanzo, è il racconto sensazionale della vita di un grande italiano, di un servitore dello Stato che ha fatto con eroismo quello che tutti noi dovremmo fare con semplicità: adempiere ai nostri doveri nei confronti della nostra comunità.
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