V COMANDAMENTO
«NON UCCIDERE»
lo voglio vivere
Il quinto comandamento è oggi giorno frequentemente chiamato in causa riguardo a temi quali la pena di morte, la guerra, l'aborto, l'eutanasia. Tutti tentativi legittimi per attualizzare il precetto biblico, ma simili questioni sono riferibili solo indirettamente al quinto comandamento. Prima di domandarci che cosa significa per noi il precetto «non uccidere», dobbiamo richiamare il suo significato originario.
Per Israele, l'uccidere in guerra non costituiva problema, era cosa ovvia. Nella vita quotidiana, invece, se qualcuno uccideva un altro, doveva immediatamente subire la stessa pena, affinché fosse resa giustizia alla vita.
Secondo l'intendimento primitivo il divieto di uccidere significa: «Non commettere assassinio». Lo scopo è di proteggere la vita umana, soprattutto quella degli indifesi. A tale riguardo Martin Lutero scriveva: «Con questo comandamento Dio vuole proteggere ogni singolo individuo, liberalo e salvaguardalo da qualsivoglia forma di scelleratezza e violenza. Lo pone come baluardo a difesa del prossimo, affinché non abbia a subire alcuna sofferenza o lesione nel suo corpo (In K. Hofrneister, L. Bauerochse, op. cit., p. 99.)».
È un modo corretto, questo, di esprimere l'intento protettivo e liberante del quinto comandamento. Dio vuole che ogni essere umano sia esente da qualsiasi minaccia di assassinio e di morte; che ognuno di noi sia al sicuro da chiunque scelleratamente ardisca mettere in pericolo la nostra vita. Questo precetto, ponendosi dalla parte dei deboli per garantirne il diritto alla vita, si rivolge contro il "diritto del più forte" .
Nell'antico Israele si uccideva in continuazione: chi uccideva un altro, doveva subire a sua volta la morte; in guerra non si dovevano uccidere soltanto i nemici combattenti, ma anche donne e bambini. Come va dunque inteso il divieto di uccidere? È Gesù stesso, con le sue parole, a indicarci in quale nuova direzione vada oggi interpretato il quinto comandamento.
Nel discorso della montagna la prima antitesi con i precetti dell' Antico Testamento è così formulata: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il suo fratello sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna» (Mt 5,21 s).
Gesù non abolisce il quinto comandamento, ma ne mette in luce il significato più profondo. «Qui, al di sopra della legge che difende la vita, è indicato un nuovo scopo. E consiste in questo: che non soltanto va protetta la vita dell'uomo, ma che la persona umana riceve il suo diritto da Dio (W, Grundmann, Das Evangelium nach Matthiius, Berlin 1968, p, 155,)».
Con le sue parole Gesù non vuole stabilire una casistica dettagliata, su come singole parole o espressioni offensive vadano punite.
Egli intende garantire il diritto e la dignità di ogni persona. La collera, quando porta al rifiuto e all'esclusione di qualcuno, alimenta nella comunità un' atmosfera ostile e minacciosa. Rivolgere a qualcuno l'epiteto "stupido/sciocco" - in lingua aramaica racâ, una parola usata sovente dai rabbini - ha l'effetto di renderlo ridicolo; è una sottile forma di abuso di potere. Dire a qualcuno "pazzo" può essere un modo di escluderlo dalla partecipazione piena alla vita della comunità. Chi ricorre a simili parole offensive si autopropone come persona saggia, autorizzata a giudicare gli altri: pretende in tal modo di sostituirsi alla sapiente giustizia di Dio.
Se dunque, in questo nostro tempo, vogliamo interpretare il quinto comandamento secondo la lettura di Gesù, non possiamo che riferirlo in prima linea alla tutela della vita e al rispetto della dignità personale. Ogni essere umano va preso sul serio, nessuno ha il diritto di ferirlo, di impedirgli la partecipazione a pieno titolo alla comunità civile o religiosa; non può essere sottoposto ad atti di violenza fisica o psicologica. In questo senso il precetto «non uccidere» può essere opportunamente riferito ai succitati temi scottanti della pena di morte, della guerra, dell'aborto e dell'eutanasia. È proprio la vita dei più deboli che Dio vuole garantire.
Nessun uomo, pertanto, può rivendicare il diritto di uccidere un suo fratello (una sua sorella), a meno che non si verifichi una grave situazione di "legittima difesa". Nessuno ha il diritto di intraprendere una guerra per arricchirsi o per proteggere i propri interessi economici. Così come nessuno ha il diritto di sopprimere una vita nascente, che non è in condizione di difendersi.
OMISSIS……………………………..
Quando riflettiamo sul quinto comandamento, non possiamo certo limitarci a disquisire in quali casi, per esempio, sia lecita l'uccisione di un tiranno, quando una guerra possa dichiararsi "giusta", come vada eticamente giudicato l'aborto ecc. Sono temi sicuramente importanti, che noi come singoli e soprattutto come società non possiamo evitare. Il noto teologo svizzero Hans Kiing, nel suo tentativo di delineare un' etica mondiale, espone i dieci comandamenti in una forma che dovrebbe renderli validi e accettabili per tutti i popoli. Ciò richiede, naturalmente, un'attualizzazione concreta del decalogo. Per esempio: che cosa significa oggi il quinto comandamento per la politica di quegli Stati che dispongono di armamenti atomici?
Comporta la richiesta di un disarmo totale? Come può una società difendersi da individui che non intendono accettare alcuna nonna di convivenza civile, come terroristi o bande criminali? C'è naturalmente bisogno di alcune risposte comuni, universalmente concordate, senza le quali la comunità mondiale continuerebbe a sussistere solo con difficoltà.
E tuttavia, resta più importante e urgente una lettura del quinto comandamento in rapporto alla mia vita concreta. Esso vuole rendermi sensibile sul modo in cui io stesso rischio di esercitare violenza su qualcun altro, per esempio quando gli rendo difficile poter sviluppare la sua personalità. Si parla molto, da qualche tempo, del cosiddetto mobbing, una forma di violenza psicologica e di prevaricazione esercitata da alcune aziende contro la "libertà di vita" dei loro dipendenti. Esiste poi la calunnia, talvolta praticata con effetti quasi "mortali" sulla buona fama e sul diritto all' onorabilità di altre persone. Al riguardo, non dobbiamo pensare soltanto ai mezzi di comunicazione. Ognuno di noi, singolarmente, può danneggiare irrimediabilmente il buon nome di qualcun altro quando mettiamo in circolazione o divulghiamo voci che abbiamo sentito, senza peraltro verificarne la corrispondenza con la verità.
Il quinto comandamento mi induce anche a interrogarmi se per caso, con troppa facilità, io non tenda a ridicolizzare qualcuno, a prenderlo poco sul serio, fino al punto da screditarlo davanti agli altri, così da lasciargli ben poche possibilità di riscattarsi. Ma il precetto vuole anche premunirmi, in particolare, dal disconoscere negli altri la loro relazione con Dio. Un pericolo in cui cade più facilmente la gente devota quando decide di sapere con precisione chi sono quelli che credono in Dio e chi no; chi è un buon cristiano e chi invece non lo è. È un grave peccato di presunzione quello di precludere a qualcuno l'accesso a Dio, la partecipazione alla comunità dei credenti, e persino la qualifica di persona "alla ricerca di Dio".
Per quanto mi riguarda, positivamente il quinto comandamento significa: lo voglio vivere. lo non mi lascio ridurre al silenzio; non mi lascio estro mettere dalla comunità degli uomini, soprattutto dalla comunione con Dio. lo voglio vivere: in me vuole vivere tutto ciò che ho ricevuto in dono; voglio dare spazio in me a tutto ciò di cui ho bisogno per sentirmi bene e portare frutto. Voglio accettare e tollerare anche ciò che non soddisfa totalmente l'immagine idealizzata che mi sono fatta di me; intendo anche mantenermi in colloquio col lato oscuro della mia personalità, per scoprire che cosa effettivamente vi si nasconde. Voglio sviluppare ed esprimere al meglio la ricchezza di vita che Dio mi ha affidato. E poiché io voglio vivere, lascio anche vivere l'altro, rispetto la sua dignità, rinuncio a giudicarlo. E se dovesse subire minacce alla sua vita, sono pronto a difenderlo, prendendo le parti del suo diritto alla vita.
La suprema conferma dell'espressione corrente: «lo voglio vivere... e lasciar vivere» viene da Gesù, quando ci comanda di amare anche i nostri nemici. La contrapposizione è alla norma ebraica del contraccambio: «Occhio per occhio, dente per dente». Propriamente si trattava di una limitazione alla vendetta: nella ritorsione per il male commesso non bisognava oltrepassare la misura del danno subìto.
Gesù dichiara decaduta tale norma. Se qualcuno ti ha danneggiato, tu non ti vendicherai in alcun modo nei suoi confronti, ma cercherai di conquistartelo. A chi ti vuole disonorare, tu non restituirai disonore; cercherai piuttosto di vedere in lui una persona che cerca di proiettare in te la sua carente autostima, e in questo modo combatterla.
Certamente, non tutto quello che mi sopravviene può farmi piacere, tuttavia devo cercare di capire il comportamento altrui, senza però lasciarmi trascinare dall' altro sul terreno della reazione istintuale e competi ti va. lo decido in piena libertà ciò che voglio fare: pienamente consapevole della mia dignità, riconosco anche nell' altro la sua dignità, e mi comporto in maniera tale che egli stesso la possa ritrovare.
Gesù ci comanda di amare anche i nostri nemici, di pregare per loro, così da imitare la condotta di Dio, «il quale fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (Mt 5,45). Il Padre del cielo non esclude nessuno, ma lascia brillare su tutti il sole del suo amore. Anche a chi si ostina nel rifiuto, egli continua a offrire la possibilità di ricredersi e aprirsi ulteriormente alla vita.
Anselm Grun
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