Questo tipo di passaggio, da un’attività al servizio della collettività, a quello al servizio di un privato, riguarda principalmente Dirigenti e Direttivi nonché Ufficiali delle Forze di Polizia ad ordinamento militare.
Questa categoria ha una maggiore spendibilità nel mondo del lavoro rispetto a quelle degli esecutivi (ispettori, sovrintendenti e agenti).
Personalmente, non discuto il fatto che si cerchino maggiori guadagni in altri ambiti.
Soprattutto in questo ultimo decennio, è veramente difficile soddisfare qualsiasi esigenza di natura familiare e magari qualcuno mi offrisse soltanto il doppio del mio stipendio per occupare posti di responsabilità in qualche ditta privata.
In realtà nessuno offre questi incarichi ad uno della mia categoria, per quanto in possesso di ultradecennale esperienza.
Quello che mi ha sempre dato fastidio, però, non è il fatto che qualcuno cerchi maggiori guadagni ma il modo in cui questo qualcuno si è comportato nei confronti dei sottoposti (i c.d. “collaboratori”) e, più concretamente, la maniera in cui sono stati capaci di incidere negativamente nei confronti dell’esistenza degli stessi.
Faccio un paio di esempi concreti.
Sono stato alle dipendenze di un ufficiale che, grazie al fatto di essere balzato agli onori della cronaca per aver arrestato (grazie al lavoro dei sottoposti, intendiamoci) un pericoloso serial killer, ha acquistato notorietà a tal punto che, un’importante azienda nazionale gli ha offerto l’incarico di responsabile della propria sicurezza che lui ha accettato senza pensarci neanche un secondo.
Ora, a me, come ho scritto sopra, sta bene il fatto che questo tipo sia andato a guadagnare dieci volte tanto.
Beato lui.
Quello che non digerisco è il fatto che durante il suo periodo di comando questo soggetto si è adoperato per fare stare male tutti noi con pressioni di varia natura.
Senza trascurare il fatto che, ad ogni piè sospinto, non lesinava perniciose morali ed esortazioni ad essere maggiormente attaccati al nostro lavoro, all’istituzione, oppure, ci rimproverava se ci vedeva abbronzati (in quella città era impossibile non esserlo) perché significava che perdevamo tempo trascurando il lavoro.
Insomma, non sto ad elencare tutto ma il fatto più sgradevole della faccenda era che quando presentavi istanza di trasferimento (quando il settore non era disciplinato come oggi e questa materia era un vero e proprio far west, altro che le lamentele dei gggiovani di oggi), lui, puntualmente cassava il tutto con un bel visto negativo (anche se stavi in quel posto da 200 anni!) e con tanto di ramanzina pubblica sullo scarso attaccamento al reparto, ai colleghi, che quello era una sorta di tradimento, “da te non me lo sarei mai aspettato”, ecc. ecc.
Se poi, alla fine, il trasferimento riuscivi ad ottenerlo, puntualmente ti abbassava le note caratteristiche (le note si chiudono al momento in cui cambi dipendenza) e ti presentavi al nuovo reparto così battezzato.
Ecco, questo soggetto è quello che, poi, di punto in bianco, ci ha mandato tutti a quel paese senza neanche salutarci.
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